– di Roberto Callipari –
Il 26 maggio è uscito il nuovo singolo dei rovere, glitch, nuovo capitolo nella storia della band che fin dal disco d’esordio, disponibile anche in mogano, ha da subito attratto una grande attenzione da parte del pubblico di tutta Italia. Tornano allora oggi, dopo un tour importante che li ha portati nei più importanti festival dello Stivale e un secondo disco, dalla terra a marte, a raccontare una volta di più la contemporaneità negli occhi e nelle parole di ragazzi che semplicemente godono di ciò che fanno, divertiti del loro stesso lavoro.
L’ultimo brano rilasciato si inserisce perfettamente nello schema narrativo della scanzonata band bolognese, che fra grandi riferimenti culturali e un ritmo decisamente incalzante si pone come obiettivo il racconto di una generazione che è perfettamente calata nei tempi in cui viviamo. C’è quindi una grande presenza di tutti quegli struggle (per dirla come farebbero loro) che ormai stanno letteralmente portando al collasso una popolazione di giovani ormai sopraffatta dalle aspettative, dalle esigenze di una società che ci vuole iperproduttivi, iperperformanti, anche a costo di veder scorrere la propria vita davanti agli occhi quasi come uno spettatore al cinema, quella società che ci vuole ad un meglio che non è mai abbastanza, che proprio per questo, anche se non si è raggiunto il traguardo, va bene così. Ma c’è comunque una speranza, un invito a provarci nonostante tutto e tutti, per se stessi, per stare meglio, perché le uniche aspettative da non deludere mai sono quelle che noi riponiamo in noi stessi, e perché spesso siamo proprio noi i nostri peggiori nemici.
Forse in questa guerra siamo noi contro nessuno
Per essere gli ultimi siamo i numeri uno
Si corre allora, fra rifermenti video ludici ultra-pop e inglesismi, verso un pop rock elettronico quasi hyperpop – almeno nell’attitudine, che strizza l’occhio ad Instagram ed al formato breve dei social che chiedono il condivisibile velocemente, l’immediato (chiaro riferimento all’importanza di TikTok, ormai, nell’industria musicale) che poi ingloba e quasi mangia anche riferimenti – intellettualoidi/intellettualisti – ai grandi del passato («Là dove c’era l’erba c’è una pompa di benzina»).
Musicalmente, siamo in quelle atmosfere che la band ci aveva già abituato a conoscere nei lavori precedenti, in quelle sonorità che scorrono fra le chitarre e il videogioco 8-bit, un po’ dal sapore Stranger Things, direttamente da quegli anni Ottanta che continuano ad influenzarci ormai da decenni, con un bridge sicuramente più impegnato, nel suono e nelle liriche, momento di apertura e variazione in un brano che spinge, ma che sa quando rallentare.
Il pezzo ha, però, un andamento ondivago, sempre a metà fra il serio e il faceto, sempre a metà fra il fare e non fare, dire e non dire, quasi si sentisse un limite da non oltrepassare, o una voglia di alludere per nascondere qualcosa che forse nemmeno c’è. In questo c’è molto della scena indie/indiepop/itpop di questi ultimi anni, che ha saputo rendersi molto fresca e colorata (tanto da irrompere prepotentemente anche in classifiche, playlist e radio anche laddove, forse, non ce n’era davvero bisogno), alle volte anche consapevole e portatrice dei giusti contenuti – che di certo non mancano in glitch dei rovere, ma che non sempre ha saputo davvero prendere una posizione. Ne esce allora, come in questo caso, un pezzo decisamente buono, orecchiabile e sicuramente canticchiabile dal primo ascolto, con un ritornello forte e le intenzioni giuste, ma che sembra, comunque, mancare di qualcosa, il quid, come un tocco sottomisura a porta vuota che non ha la giusta energia per passare la linea. I rovere hanno comunque potenziale in freschezza e contenuti, ma il brano, almeno questo, al momento, non sembra girare nel modo giusto.
Nel frattempo, attendiamo quello che il futuro ha in serbo per i rovere, nella speranza di vederli presto dal vivo con la loro solita energia.