– di Silvia Ravenda –
La prima volta che mi imbattei in Lucio Corsi fu nel 2021 grazie a due brani condivisi da YouYube che mi inviarono in chat.
Non avevo idea di chi fosse né di cosa facesse, quindi senza troppe aspettative li ascoltai in auto, al rientro da una giornata di lavoro. Il tempo di rientrare a casa avevo ascoltato “Cosa faremo da grandi?” e “L’upupa” in loop non so quante volte. Fu un’epifania, fortuita e casuale, una di quelle rivelazioni che capitano davvero poche volte nella vita.
Da quel giorno iniziai a cercare tutto quello che poteva essere reperito in rete: singoli, recensioni, biografie, insomma, qualsiasi cosa potesse colmare quella che ritenevo una lacuna imperdonabile.
Lucio Corsi, classe 1993, toscano e con già tre pubblicazioni all’attivo: nel 2014 esce il suo primo EP “Vetulonia Dakar”, nel 2017 “nasce” “Bestiario Musicale” che si presenta come un concept album a tema favolistico: ognuno degli otto brani è dedicato ad un animale della Maremma.
Nel 2020 pubblica “Cosa faremo da grandi?”, prodotto da Francesco Bianconi e Antonio Cupertino per la Sugar Music.
Il 21 aprile 2023 è uscito il suo terzo album in studio “La gente che sogna” anticipato dai singoli “Astronave giradisco / La bocca della verità” e “Magia nera / Orme”.
Che lo “stile” sia prerogativa di Corsi si nota anche dall’uscita “a coppie” dei brani, modus operandi tipico delle pubblicazioni di vinili di qualche “era” fa.
L’album composto da nove tracce richiama sonorità dal Glam Rock allo stile Seventies e un orecchio nostalgico potrebbe trovarci da Bowie a Graziani passando per il primissimo Renato Zero, ma la verità, a mio avviso, è che, nonostante la tentazione di fare (facili) parallelismi, Lucio Corsi è semplicemente Lucio Corsi: un giovanissimo musicista il cui indiscutibile talento parla più di ogni scontato paragone.
Una delle caratteristiche rintracciabili in tutti i lavori di Corsi, quindi anche in “La Gente che Sogna” è l’attenzione alla stesura dei testi.
Le metafore vengono intrecciate l’una con l’altra come a tessere una tela variopinta, un arazzo che risponde all’esigenza di voler raccontare una storia, o meglio, tante storie, che è lo stesso Corsi a presentare nel retro della versione in vinile dell’album (così come si faceva in alcuni dischi tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70) e che vale la pena riproporvi:
«Questo disco inizia con “RADIO MAYDAY”, canzone che cerca di fuggire dal pianeta terra cavalcando le onde di una stazione radiofonica extraterrestre. Dopo tre minuti e trentacinque ti imbatterai in “ASTRONAVE GIRADISCO”, ecco, in questa canzone accade l’esatto contrario. In un istante, in un flash, tutte le creature dell’universo iniziarono a muoversi verso la Terra.
La terza canzone nasce dal frastuono di un sogno andato in mille pezzi, “MAGIA NERA” è una stella decadente, una carrozza sgangherata che ti passa nelle orecchie. L’avventura prosegue sotto un cielo oscuro, dove i denti chiari di un pianoforte introducono “LA GENTE CHE SOGNA”, di questa canzone non aggiungerò nulla. Risveglio di metà disco. C’è un mare strano, più simile ad uno specchio.
Laggiù trovi “ORME” che non si cancellano. I violini se ne vanno appena in tempo per non assistere allo scontro finale tra la realtà e l’immaginazione. Da un freddo mare giapponese affiora “LA BOCCA DELLA VERITÀ” smuovendo terra e cielo.
Questa sotto specie di robot, a metà tra il terriccio e l’alluminio si accartoccia su se stesso fino all’ implosione. Sulle ceneri di questa battaglia non si potrà far altro che organizzare il “GLAM PARTY” e venerare la notte, colei che cancella il mondo dandoci la possibilità di cambiarlo.
La festa si conclude con un lento, una “DANZA CLASSICA” da ballare in due.
Tu e la tua ombra.
Ed eccoci giunti alla fine dello show, si chiudono le tende di velluto. Che esista “UN ALTRO MONDO” io non ne dubito».
“La Gente che Sogna” richiama visioni surreali di un mondo utopistico, inesistente, ed in quanto tale tragicamente perfetto nelle sue imperfezioni.
Un immaginario potentissimo che sino ad oggi ho trovato solo nel genio di Daevid Allen e nella sua “Trilogia Gong”.
“Radio MayDay” così come “Radio Gnome Invisible”, hanno lo scopo e la facoltà di portarci altrove, di farci visitare mondi lontanissimi pur rimanendo comodamente in poltrona.
Fare un primo “bell’album” non è un’impresa complicata, farne tre, in studio, praticamente perfetti è pregio di pochi.
Lucio Corsi è un dono raro, facciamone buon uso.