Esce oggi venerdì 5 maggio 2023 per La Tempesta (e in distribuzione Believe Digital) il nuovo album di Andrea Poggio, il secondo, dal titolo “Il futuro”, già anticipato dai singoli “Il nuovo mondo” e il più recente “Parole a mezz’aria”.
Con la complicità di una scrittura suadente, sobriamente fascinosa, “Il futuro” è un disco allo stesso tempo classico e moderno, antico e avanguardistico, in cui l’autore si diverte, quasi si compiace, a giocare coi generi e a mescolarli, come a creare un insolito ponte tra Paolo Conte e i Dirty Projectors, tra Franco Battiato e Chassol. Il vecchio e il nuovo, il classico e il moderno, il passato e il futuro. Ed è proprio sui binari di questa apparente dicotomia che si muove un disco al cui titolo sembra mancare un punto interrogativo finale.
Noi eravamo così contenti di questo ritorno, che abbiamo deciso di porgli qualche domanda a proposito di questo futuro, di chi ha suonato in questo disco e di cosa succederà adesso. Ecco com’è andata!
Il tuo nuovo disco in uscita s’intitola “Il futuro”? Un titolo particolarmente ambizioso, ma per certi versi anche rassicurante. Hai voglia di raccontarcelo?
Sono nato e cresciuto ad Alessandria, in quel Piemonte meridionale e di confine che, come direbbe Paolo Conte, “sta in fondo alla campagna”, a due passi dal mare, ma inghiottito dalla nebbia e dalla collina. Quel Piemonte, e qui cito invece Umberto Eco, “senza retorica e senza miti”, indifferente ai valori astratti e quindi disinteressato all’amplificazione retorica. Mi piaceva l’idea di avere un titolo che potesse essere letto anche in chiave trionfalista proprio per creare contrasto. Il futuro ad esempio de “Il nuovo mondo” o di “Chilometri d’asfalto” è tutt’altro che un futuro fidente o rassicurante.
In questo disco personalità del calibro di Enrico Gabrielli, ma anche Adele Altro e Luca Galizia, solo per citarne alcuni. Come scegli le persone che finiscono a lavorare alla tua musica?
La scelta dei musicisti da coinvolgere nelle registrazioni di un disco è una delle parti più divertenti del processo creativo. Quando scrivo gli arrangiamenti mi capita spesso di pensare a chi potrebbe suonare quelle parti meglio di come le ho scritte io. Così mi è venuto naturale pensare a Luca per la chitarra de “Il nuovo mondo”, perché mi sembrava che quel brano presentasse alcuni punti di contatto con certe cose che Luca fa con Generic Animal. Stessa cosa è successa con Adele e Enrico, che sono miei cari amici, con i quali lavoro assieme da un po’ di anni ormai.
Ti avevamo lasciato qualche anno fa, e nel frattempo è arrivata anche una pandemia globale. Cos’è cambiato nella tua vita e nel tuo approccio alla musica?
Il mio approccio alla musica è rimasto uguale, cerco di scrivere delle belle canzoni e spero di riuscirci. Nella mia vita invece ho cambiato casa e sto cercando di abituarmi a vivere in un quartiere nuovo, sono più vecchio di qualche anno e forse anche un pelo più saggio.
A che periodo della tua vita fa riferimento “Parole a mezz’aria” e quanto c’è di autobiografico qui dentro? Ti senti ancora così?
A volte i piani temporali nelle canzoni si mescolano, anzi forse il bello di avere a che fare con una forma narrativa tanto limitata è proprio quello di avere la possibilità di lasciare qualche spazio bianco, o spazi interpretativi lasciati al non detto, messi lì perché ognuno li riempia come meglio crede. Comunque sei un sadico, mi conosci e sai quanto poco mi piaccia parlare del significato delle mie canzoni.
Momento nostalgia. Che ne è dei Green Like July?
I Green Like July appartengono ad un’epoca talmente lontana e diversa dalla presente che mi capita di pensarci poco. Sono fiero di quello che abbiamo fatto negli anni anche perché, almeno in parte, influenza quello che faccio adesso. Ma faccio molta fatica a relazionarmici ora.