Si torna all’inglese per Valente, al secolo Claudio Valente, fondatore e colonna di formazioni storiche quali Art Decò, Telegram e Holidays Futurisme. Torna anche in auge la collaborazione con Matteo Marenduzzo e la sua label Dischi Soviet Studio per questo nuovo capitolo dal titolo “Radio Sky”: disco che potremmo in qualche modo pensare ad un concept, lavoro decisamente intriso di aspetti sociali, di ragionamenti e visioni interrogative su una rinascita o una qualche forma di resistenza… un messaggio che arriva dallo spazio, allegoria degli anni ’80 che sembra tornarmi alla mente, come fosse una fantomatica radio a veicolare la nostra nuova vita. Disco che prima di tutto sembra davvero riportare alla mente il tempo buono della grande musica italiana…
Che meraviglia questo titolo. Ci riporta indietro nel tempo quando la comunicazione via etere era ancora un miracolo. Penso sia quello l’immaginario di questo disco o sbaglio?
Assolutamente si. La radio è stata la mia prima finestra sul mondo della musica, come per moltissimi altri, credo, e fu anche la mia prima fonte d’informazioni quando, ragazzino famelico di musica, volevo conoscerne quanta più possibile. Pensa che anche ora, nell’era della comunicazione digitale e della connessione continua, io penso ancora alla comunicazione via etere come a un miracolo, ed ecco perché tutto RADIO SKY ha anche una valenza magica, esoterica, la musica come messaggio che arriva da un’altrove indefinito o lontano anni luce per donarci nuove epifanie, per ricordarci un’invisibile sapienza andata persa, come canto ad esempio in uno dei brani del disco, “Bring Back the Magic”.
Che poi la New Wave di certa maniera è da lì che arriva… o sbaglio? E torna alla mente il suono del telegrafo e di certe trasmissioni… tutto questo però oggi nel futuro che suono ha secondo te?
No, non sbagli, la New Wave della prima ora, che ho avuto la fortuna di vivere in tempo reale sia come ascoltatore vorace prima, che come musicista che muoveva i suoi primi passi, poi, arriva da quei primi suoni elettronici mescolati a chitarre taglienti, da quei primi synth dai suoni nuovi, alieni e meravigliosi che illuminavano con strisce di luce bianca e analogica il buio profondo evocato dal basso e dalla batteria di band come i Joy Division, The Sound, ma anche Ultravox e Japan, per citarti alcune delle mie band favorite e naturalmente, prima di loro, dal minimalismo dei Kraftwerk e dal Bowie di “Low”. Oggi, che è il futuro di allora, quel suono è secondo me attualissimo, ma va naturalmente e necessariamente aggiornato e contestualizzato: il progresso tecnologico non si ferma e le possibilità si moltiplicano, ma io amo avere dei limiti, conservare un’attitudine minimalista, che porti a delle scelte di arrangiamento mai ridondanti o caotiche. In questo mi sono trovato perfettamente in sintonia con il mio produttore artistico Andrea Lombardini, che è anche il bassista, il quale ha capito perfettamente da dove provengo musicalmente e la mia esigenza di sincerità espressiva e di misura: ecco perché direi che il suono del telegrafo con la sua esigenza di dire molto con poche parole in codice è assolutamente per me il suono da ritrovare: in “Radio Sky”, il primo singolo estratto, infatti, ripeto come un mantra sempre le stesse tre frasi, quasi come un messaggio telegrafico in codice lanciato nel cosmo verso mondi lontani, verso altre esistenze, nell’immensità del cielo radiofonico.
E questo disco al futuro sembra non dare retta lo sai? Tanta elettronica ma tanto gusto vintage dentro… o sbaglio?
Più che altro questo disco sembra voler raccontare al futuro le sue origini e una possibilità di un suo superamento al tempo stesso, ma sempre nell’ambito della forma canzone; sì, c’è l’elettronica usata con un’attitudine vintage, poiché sono un grande appassionato di kraut rock e di dischi come il primo album dei Suicide, o “Trans Europe Express” dei Kraftwerk e dei Neu!, ma la cosa più bella di questo disco, per me almeno, è che la band ha suonato tutto e che anche molte parti che sembrano di tastiere elettroniche sono spesso chitarre e bassi in loop o abilmente manipolati; se c’è un gusto vintage c’è soprattutto nell’attitudine creativa alla manipolazione dei suoni. Poi,dal vivo, ci divertiamo a riproporre tutto senza tastiere né basi in sequenza. Credo che l’eredità della “new wave” sia proprio questa.
Anche questa copertina in bianco e nero con macchine antiche alle spalle… di cosa parliamo?
Questo disco vuole immaginare un futuro, dove il passato non è condannato al dimenticatoio, non è stato già masticato frettolosamente e sputato, ma se mai è vivo e vegeto, capace di ispirare novità, passione utilizzando un immaginario che preferisco definire post moderno piuttosto che vintage, dove i simboli di una tecnologia antica e le immagini in bianco e nero vogliono suggerire una continuità verso il domani, alla ricerca di una nuova alchimia sonora capace di combinare vecchio e nuovo. Quando abbiamo scelto la fotografia di copertina pensavo ai Kraftwerk di “Trans Europe Express”…
Il futuro tecnologico di oggi sembra proprio quello che veniva denunciato da Pasolini. Questo disco dunque pensi possa dirsi politico in un senso di protesta?
Pasolini nei suoi “Scritti Corsari” protestava contro un progresso tecnologico che invece di essere benefico progresso, diventa semmai un’occasione in più di sfruttamento delle masse per la produzione di beni innovativi si, ma solo per pochi fortunati o per l’interesse economico di chi li produce. Questo è un punto di vista che senz’altro condivido, ma nella fattispecie, questo disco protesta soprattutto contro la volgarità: la volgarità di una modernità che è non più affascinante, come lo fu ad esempio nei primi anni del 1900, ma che è diventata serva della tecnologia, usata come ossessione e per ossessione, per smania di controllo e attraverso l’oppressione mediatica; questo disco vorrebbe ricordare la bellezza primitiva della tecnologia, quando era ancora saldamente in mano all’uomo come strumento creativo e di sviluppo, e non viceversa, e “Radio Sky” vuole suggerire di “accendere la radio”, di spegnere gli schermi, di tendere le orecchie verso i messaggi dispersi nell’etere magari osservando solo lo schermo magico di una bella notte stellata.
L’angelo nero del video… il tuo alter ego, la tua coscienza, o la musica stessa? O altro magari…
Naturalmente, con il regista, Giorgio Ricci, ci siamo ispirati vagamente, ma con consapevolezza e un po’ di compiacimento all’immaginario suggestivo del “Cielo sopra Berlino” di Wenders: l’angelo nero è una sorta di alter ego si, ma è al tempo stesso angelo custode e angelo tentatore, vive sempre accanto al protagonista rappresentando il dualismo suo e dell’esistenza di chiunque, che si rivela tutto nel mantra ripetuto ossessivamente nel testo minimalista di “Radio Sky”: Shine Cry Goodbye (Brilla Piangi Addio) e poi nella domanda successiva: è questo che siamo? Come siamo giunti così lontano? come vedi la domanda è assolutamente aperta e ambigua e apre a un futuro ancora da scoprire a nuova musica da inventare magari…domani!