È uscito venerdì 10 marzo 2023 per Record Y “L’importanza inderogabile del mio rendez-vous”, il nuovo album che porta la firma di Manlio Maresca.
Il disco, già anticipato dai singoli “Le mie cose” e “Hope is a trap”, è un nuovo e definitivo capitolo per il refrattario ed eclettico chitarrista classe 1977, oggi di stanza a Berlino. Maresca ha fatto dell’estetica del rumore e la poetica dell’errore due componenti fondamentali della sua musica, dando vita a varie esperienze sonore internazionali tra cui quella dei Neo e degli Andymusic.
Abbiamo voluto intervistarlo, chiedendogli dell’poetica dell’errore che sembra contraddistinguerlo, del suo nuovo disco e dell’incontro con Frank Martino.
Cosa c’entra con la tua musica e che cosa intendi con “poetica dell’errore”?
La poetica dell’errore non si basa sull’utilizzo di tutto ciò che per una estetica comune o accademica viene considerato errore, ma anche sull’utilizzo improprio degli strumenti, su una visione distorta del suono, a volte avere una limitazione di qualsiasi mezzo può essere edificante, ad esempio questo disco è stato fatto con un quarto di schermo spaccato, è quella limitazione che impedisce alla creatività di diventare libero arbitrio.
Quanto credi sia importante indirizzare, con i titoli giusti e le giuste parole, l’ascoltatore verso un’interpretazione, quando si tratta di musica strumentale?
Penso fermamente che l’ascoltatore una volta che entra a contatto con la musica può farci ciò che vuole, immaginare qualsiasi situazione, luoghi e ricordi.
Le parole ed i titoli a contatto della materia sonora possono non avere alcun contatto con la musica, poi se sei Nick Cave la cosa cambia, li le parole hanno un contenuto poetico impareggiabile, ma sono scelte non solo in virtù del significato, anche sul loro valore timbrico.
Ora non conosco personalmente Nick Cave e forse non lo conoscerò mai, ma mi ci gioco un piede che è così.
Che tipo di fruitore musicale sei? E che cosa ascolti principalmente?
Come in tutte le cose della mia esistenza anche negli ascolti sono disordinato.
Non vado a generi, vado a nomi. Non amo il metal ma c’è sempre qualcosa che mi colpisce. Ho una discreta conoscenza di jazz ma alcune cose mi annoiano, soprattutto quelle che si ispirano alla tradizionale suonate nei nostri tempi.
Diciamo che non ho limiti, vado a frugare tra la spazzatura e contemporaneamente ascolto la magnificenza del passato che informa di se il presente e la contemporaneità stralunata. Nel mezzo poi c’è tutto ciò che non so se mi piace ma so che non mi piace
Hai voglia di raccontarci il tuo primo incontro con Frank Martino?
Il primo contatto con Frank è stato virtuale, dato che avevamo pubblicato già per la stessa etichetta. Abbiamo iniziato a seguirci sui social, poi nel 2016 (mi sembra) partecipammo ad “Auandays” una residenza artistica organizzata dalla nostra etichetta, appunto la “Auand” di Bisceglie.
Lì capimmo di avere entrambi quel gusto difficile di non prenderci mai sul serio. Successivamente ho avuto l’immenso onore di fare un concerto a Vicenza assieme a Frank. Fu un evento memorabile anche per lui, dato che ha dovuto leggere le mie partiture, e fu proprio li che disse: “Ok, se sono sopravvissuto ad un concerto con Maresca allora posso proporgli anche un disco per la mia neoetichetta”.
Lì nacque questa nuova figura professionale che è la “La badante discografica”.
Jazz ed elettronica sono ormai la stessa cosa?
Per me che vivo la musica, sia degli altri che la mia, al di fuori degli schemi, non sono mai state due cose diverse.