Arriva da adulto, vaccinato e papà l’esordio discografico di Enrico Gabrielli: “Le Canzonine”.
– di Lelio Morra –
Per gli addetti ai lavori, e l’intera filiera, il suo profilo è noto ed è sinonimo di garanzia, spessore e rispetto verso la musica.
Di prestigio e trasversali le sue numerose collaborazioni e i progetti nei panni di polistrumentista o produttore (da membro dei Calibro 35 ai The Winstons, in tour con PJ Harvey e Afterhours, la direzione del concerto/opera ode a Morricone al conservatorio di Milano, la produzione artistica da Iggy Pop a Galeffi).
In questo “esordio” il Maestro Gabrielli si concede e ci concede la libertà di divertirsi con dolcezza.
Dedica storie ai bambini, o forse fa in modo che anche i bambini possano trovarci linguaggio e sonorità confidenti.
Dalla sua rubrica telefonica (competitiva, alla Gianni Minà) pesca l’elìte della nuova canzone italiana munita di prole (da Brunori a Bianconi, passando per Cosmo, Truppi, Laszlo, i Cani e tanti altri – tutti papà) e li coinvolge a raccontare queste storie, filastrocche, canzonine.
Il Piccolo Coro Angelico, diretto da Giovanni Giovannini, è un colore costante del disco.
Forte del suo bagaglio, compone un’opera leggera e consapevole.
Ritrae personaggi, inventa storie, pone quesiti come “chissà cosa faceva da piccolo Beethoven” e ci lascia ascoltare la voce di sua figlia a cui “piace dire solo fenicottero e non pellicano”.
Il disco si apre con “La Canzone Che Non Dice Niente”.
Il linguaggio melodico ci avvicina a “Carlo Martello” e a quel modo da chansonierre di tenere in piedi l’equilibrio canzone.
La dedica tenera è al fatto che “se c’è una cosa che vale di più è il suono di un bacio come li dai tu”.
Ne “Il Cavallino” chiede a Bianconi di vestirsi da western e mette in luce la sua devozione a Morricone.
Sceglie di cantare in solo “La Canzone del Singhiozzo”, analisi onirica e ironica su quanto non sappiamo spiegarci.
Con Laszlo si diverte a raccontare del “Pappagatto” che col sorriso riporta a “Stranalandia” di Stefano Benni.
Si ascolta quindi un mondo libero di fare canzone.
Libero nell’accezione più vicina al sentire.
Perché il Maestro merita lo stato di grazie in cui è, di certo in fase compositiva, e ci regala quindi il lusso di inebriarci di quanto ha costruito fino ad oggi ed il beneficiare di una scelta narrativa poco consona ma familiare a tutti.