Postilla – Una Vita Incredibile
– di Luigi De Stefano –
Parlare di Richard Philip Henry John Benson non è mai semplice, perché il personaggio ha fagocitato l’uomo in maniera così vorace che qualcuno è ancora convinto (nonostante Richard abbia pubblicato online il suo passaporto) che il suo vero nome fosse Riccardo Benzoni, un sempliciotto romano accecato dall’iconografia anglosassone, come il Nando di Un Americano a Roma.
Quella di Benson è sicuramente la storia di un uomo che ha sofferto molto, sia fisicamente che psicologicamente, ma sarebbe sbagliato ridurre tutto allo screenshot di un uomo in parrucca ricoperto di yogurt e altre sostanze non identificate da uno sparuto gruppo di scimmie.
C’è un aspetto di Richard Benson del quale si parla sempre troppo poco, ed è la sua grande intelligenza. Quella che gli permetteva di essere una vera e propria enciclopedia vivente del rock e del metal, ma anche di diventare all’occorrenza qualcosa di completamente diverso: una performance vivente.
Perché questo è stato Richard Benson. Un performer in grado di mescolare a piacimento divulgazione e fantasy (anzi, auto-fanfiction), deriva trash e momenti di una bellezza surreale (basti vedere l’incredibile trasformazione nel “Cristo Canaro”).
La sua intelligenza gli ha permesso di capire due cose.
La prima è che, purtroppo, in pochi sarebbero andati a vederlo dal vivo solo per ascoltare l’ennesima cover di “Another Brick in the Wall”.
La seconda, è che il grosso del suo pubblico lo amava davvero, anche se in una maniera a dir poco originale.
Quando Richard raccontava l’ormai celebre aneddoto di “Marlin Manson”, gli insulti e lo scherno del pubblico erano il perfetto contrappunto di un copione preciso, una scena che richiedeva due attori: da una parte lui, il bardo, e dall’altra un auditorio che attendeva “l’incenso, la canfora, le osse dei morti…” come a un concerto dei Procol Harum si attende “A Whiter Shade of Pale”, che per uno scherzo beffardo del destino è diventata la sua ultima interpretazione.
Questo rapporto di amore/odio lo ha accompagnato per gli ultimi vent’anni della sua vita. Mi è difficile credere che tornato a casa, dopo aver urlato in faccia a Teo Mammuccari su Rai Due, Benson fosse una persona avvilita, qualcuno che si era svenduto per pagare le bollette.
Il rock è diventato grande per aver sbattuto in faccia l’eccesso a una società perbenista in pieno boom economico. E oggi è cento volte più rock l’immagine (sicuramente caricaturale) di un Richard Benson prostrato per terra perché sente cantare “Cucciolo”, rispetto a qualcosa come “Cool kids, they do not use drugs – Only weed ‘cause it’s not that strong”.
Oltre ad averlo visto dal vivo, sono stato presente in due occasioni “pubbliche”.
La prima è stata il suo matrimonio. Il Campidoglio scoppiava di gente, gente che nei forum di internet scriveva abitualmente che voleva “fargli la festa”, ma in realtà erano felici quanto lui di essere lì quel giorno.
Non un solo insulto, non una misera pallina di carta, solo una folla che urlava slogan di incitamento e che è esplosa in un’ovazione quando Richard ed Ester sono divenuti marito e moglie.
Non un solo insulto, non una misera pallina di carta, solo una folla che urlava slogan di incitamento e che è esplosa in un’ovazione quando Richard ed Ester sono divenuti marito e moglie.
La seconda è stata il suo funerale.
In chiesa una “Processione” durata oltre un’ora di amici, colleghi e semplici fan che si sono alternati per raccontare cosa era stato Richard per loro: un’icona, un esempio, un modello, un innovatore, un grande divulgatore.
Poi fuori, quando la bara è uscita, ci ha pensato la stessa Ester a sciogliere l’imbarazzo, a “dare il permesso” a tutti i convenuti di lasciarsi andare a quello che fino ad allora si erano trattenuti dal fare: tirare fuori la voce, e gridare a squarciagola di fronte alla solennità di Santa Croce in Gerusalemme tutte le frasi storiche, tutti i meme ante-litteram che Richard aveva creato.
Di solito si dice che “lui avrebbe voluto così”, e mai come in questo caso è vero: è stato il funerale di una rockstar, non di un fenomeno da baraccone.
Alla fine, l’amore che prendi è uguale all’amore che dai.
Quando il carro funebre si è allontanato, c’è stato un ultimo coro intonato da tutti i presenti: “Scu-sa! Scu-sa! Scu-sa!”.
Si sentiva spesso ai concerti: qualcuno aveva esagerato, Richard aveva lasciato il palco, e la gente spingeva per farlo riapparire.
Si sentiva spesso ai concerti: qualcuno aveva esagerato, Richard aveva lasciato il palco, e la gente spingeva per farlo riapparire.
In quel caso aveva due significati. Uno era “Grazie di tutto, e scusa. A volte abbiamo esagerato, ma era per scherzare. Siamo sicuri che l’hai sempre saputo.”
L’altro era una speranza nascosta in fondo al cuore, troppo a fondo per lasciarla affiorare: quella che la sua scomparsa fosse l’ennesima fantasia. Che Richard, nonostante il vero nemico fosse la Vita, avesse sconfitto la morte per la tredicesima volta, e sarebbe tornato indietro, a prendersi ancora una volta il meritato applauso.