– di Luca Boetti –
I mondiali a dicembre, la neve che a Milano non arriva mai (perlomeno dal cielo) e un disco che ho iniziato ad ascoltare per caso, ma che mi ha gasato sin dalla prima traccia. I Palmaria hanno confezionato un prodotto molto piacevole, accattivante, che unisce un’anima caraibica a una nota dolceamara tipica delle produzioni musicali degli ultimi anni, non rinunciando a scherzare e a proporre pezzi molto intelligenti (e anche allegri, perché no).
Il disco è cantato in un bel mix di italiano e inglese, con il duo che sta dietro la produzione che ha scelto Londra come base per la loro vita artistica e personale. I ritornelli sono tutti molto orecchiabili, ben cantati, alcuni entrano in testa con una facilità disarmante. L’atmosfera è quella di un disco emozionale, profondo ed evocativo: “Piscine” e “Coney Island” sono, fra tutte, due tracce gestite molto bene, e raccontano un’esperienza che va al di là della semplice canzonetta. Evocative, con un eco scuro e profondo che permette di apprezzare lo stile e la tecnica del duo originario della Liguria. L’album è quindi, nel suo complesso, un ottimo risultato alt-pop (anche se non originalissimo) che si lascia ascoltare con piacere.
Arrivato a questo punto della recensione sento però di dovermi calare negli odiosi panni del recensore autoreferenziale (tanto ormai è questa la mia cifra stilistica). Al primo ascolto dell’album, quando ho mandato in play il primo pezzo, sono rimasto davvero molto colpito dal coraggio e dall’intuizione che i Palmaria hanno avuto nel comporre “Chameleon”. È la traccia che dà il titolo all’album, ed è davvero geniale: è un pezzo distorto e confusionario, con un ritornello che sembra un canto tribale, incalza l’ascoltatore fin da subito e mette addosso un hype incredibile per il resto della produzione. Ed è un peccato, visto che rimarrà l’unico singolo dell’album ad avere quella bellissima energia. Non so se sia stata una scelta consapevole o un accadimento casuale, però “Chameleon” è una traccia completamente diversa dalle altre, ed è secondo me quella che suona meglio.
Con un pezzo sopra gli altri, ma comunque con una media più che accettabile, “Chameleon” è un EP interessante e piacevole, forse un po’ troppo omologato alla media del genere ma comunque virtuoso. I Palmaria potrebbero decidere di proseguire nel loro percorso di scoperta musicale, sperimentando di più e più spesso, regalando all’ascoltatore molte più tracce sperimentali e, magari, meno alt-pop di stampo emozionale. Con il giusto mix fra le due anime, quella creativa e sfaccettata di Chameleon e quella introspettiva e deep del resto dell’album, il duo saprà sicuramente regalare prodotti di ottima qualità, musicale e artistica.
Insomma l’album mi è sicuramente piaciuto, anche se forse un po’ al contrario. Con un antipasto allucinante ci si aspetta, poi, una cena dello stesso livello (si vede che sto guardano la s12 di Masterchef?), ma la promessa alla fine è stata mantenuta solo in parte. È mancata forse solo un po’ di cazzimm’ (esatto, altra Masterchef reference, qui presentata tramite uno squisito meme morto ma ci stava bene).
A questo punto aspetto e spero in un nuovo disco, in cui le barriere della simmetria e dell’armonia lascino spazio alla più spinta e volgare creatività musicale. Certo è che, se le premesse sono queste, dei Palmaria si sentirà sicuramente parlare anche in futuro.