Un disco come“Lo Stato Canaglia” di certo par non aver peli sulla lingua. Ma andiamo oltre il solito cliché e con Johnny DalBasso armiamoci anche per una fattiva critica sociale: un disco che proprio in questi giorni è stato ritirato dalle distribuzioni in streaming. Lo possiamo raggiungere solo in una preziosa release fisica, anche in vinile… insomma si torna a comprare la musica? Decisamente un tema importante e merito alle voci di artisti come lui che si torna a parlare di un argomento caldo e sensibile come questo. Probabilmente lo streaming gratuito ha davvero contribuito ad uccidere il mercato… “Lo Stato Canaglia”, se proprio non potete fare a meno dei vostri santi click, potete rintracciarlo solo nei suoi singoli e video ufficiali. Per il resto fate uno sforzo e tornate a comprare la musica…
Un luogo dentro cui convivono tutte le contraddizioni di questo tempo. Ne sono tante eh… ma siamo sicuri che sono le contraddizioni ad esistere o forse l’egoismo del genere umano a volerle creare come capro espiatorio?
In ogni epoca si è cercato il capro espiatorio e in ogni epoca ci si è dimenticati del passato, commettendo di nuovo gli stessi errori. Oggi che siamo tutti connessi e connettibili ci ritroviamo ancora a fare i conti con cose antichissime come la guerra o l’odio per il diverso e lo straniero. Mi viene da pensare che il problema è proprio dentro la mente umana e “Lo Stato Canaglia” è più una condizione esistenziale che una mera organizzazione sociale e politica. In breve, citando il sommo: “La seconda che hai detto”.
Che poi a forza di contraddizioni hai deciso di ritirare il disco dagli streaming gratuiti. Solo in formato fisico. Una denuncia più che una provocazione?
Le provocazioni ormai sono poco efficaci e all’ordine del giorno quindi, ora, devono cedere il passo all’azione. Ho deciso di “sfruttare” a mia volta Spotify per lanciare i miei singoli, come poteva accadere con i 45 giri decenni fa, ma ho eliminato dalla piattaforma il disco per intero, non per una questione di royalties (figuriamoci), ma perché non è un modo giusto secondo me per l’ascolto di un intero album. Si tende a skippare, un pò come quando ti vedi una serie tv e intanto controlli whatsapp o fai altro… Al cinema non lo faresti. Per me l’ascolto di un disco è un momento importante, ha bisogno di attenzione.
E restando sul tema ma andando a spulciare il video di “Andalusia”: ha senso perché i cani? Questa che allegoria è?
Cercavo un’immagine che trasmettesse libertà e allo stesso tempo costrizione. Il pezzo parla di un’evasione, nel vero senso della parola, e di un viaggio improbabile dall’Europa all’Africa, mentre oggi purtroppo la gente è costretta a fare il contrario per fuggire da condizioni di vita proibitive. Da qui mi è venuta in mente l’idea di rappresentare un cane affacciato al finestrino di un’auto: in quel momento l’animale si gode il vento in faccia e magari trova tutto questo piacevole, ma allo stesso tempo è costretto in uno spazio angusto ed è totalmente ignaro del dove lo stiano portando, quindi con questa immagine ho voluto esprimere la differenza tra il sentirsi libero e l’esserlo davvero.
Secondo te che cosa stiamo diventando? Perché in fondo lo Stato siamo noi… e siamo noi a creare la crisi di ogni cosa…
Credo che la crisi mondiale in atto, nella quale l’occidente sta perdendo colpi sia dal punto di vista economico e sociale, si stia riversando nelle nostre singole vite e, mentre fino a qualche decennio fa si pensava di più alla collettività, si è passati a pensare solo alla riuscita personale e ora siamo arrivati ad essere così egoisti da non farci bastare più la riuscita personale ma desideriamo anche la sconfitta del nostro vicino o del nostro competitor… Stiamo diventando come dei topi in una scatola.
Dal vivo che storia stai raccontando? Come, dove e quando? Che poi anche li lo stato sa come mostrarsi canaglia…
Sto raccontando una storia di resistenza, e non certo la resistenza sbandierata quest’anno a X-Factor: la resistenza di un musicista underground in un panorama musicale nel quale la musica non mainstream è in sofferenza (io la chiamo “la desertificazione dell’underground”); in questi casi o ti fermi o continui ad oltranza ed io, per ora, ho scelto la seconda opzione, anche se è davvero complicato, tra locali che chiudono e altri che stanno smettendo di puntare sulla musica suonata. Per fortuna esistono ancora dei club, grandi e piccoli, che continuano a preferire la musica originale e non per forza allineata al potere del maledetto it-pop-brutto e, per quanto mi riguarda, mi troverete a suonare lì, insieme a tanti altri fantastici musicisti e gruppi che stanno creando, proprio ora, l’alternativa a questo Stato canaglia.