Il video diretto dalla videomaker Stefania Carbonara è un viaggio che rivisita gli anni 20 del 1900 e li porta verso il futuro, in una danza ipnotica.
Lo abbiamo intervistato, ed ecco com’è andata.
Com’è nata la tua collaborazione con un’etichetta estera? E che differenze hai riscontrato tra il mondo della discografia in Italia e quello all’estero?
Collaboro praticamente solo con etichette estere da qualche anno, ho una band post punk a contratto con Cold Transmission etichetta tedesca specializzata in post punk e dark wave e il mio disco solista uscirà per Bordello a Parigi di Amsterdam etichetta specializzata appunto in musica elettronica più con un taglio da club, Italo disco e synth pop. All’estero ho sicuramente trovato più passione e voglia di fare considerando i generi che mi interessano e che suono e più attenzione alle nicchie e alla creazione e mantenimento delle varie scene musicali. In Italia con Luca Urbani abbiamo appena creato una piccola realtà “GELO dischi” con l’ambizione di ricreare qualcosa di simile qui da noi, mettendo in contatto e collaborando con artisti dell’ambito wave, post punk, synth.
La tematica affrontata in “Festa” ha forse a che fare con il Covid e ciò che abbiamo passato nell’ultimo periodo? Ti ricordi ancora come hai passato la primissima quarantena?
Sì e no, penso che il brano sia riferibile a qualsiasi situazione in cui ci si sente soli e con un importante riferimento che viene a mancare. Nel testo però ci sono dei chiari rimandi al covid (come una cena in zona rossa, come la gente nei musei…) e mi piace pensare che il pezzo abbia un contesto nel tempo e che riporti dei fatti reali. Immagino qualcuno che possa ascoltarlo tra 20 o 30 anni chiedersi come si potesse vivere in una “zona rossa” o il perché non ci fosse più “gente nei musei”.
Sono molto legato al pezzo, la sua versione casalinga e non prodotta è stata ascoltata in loop dalla mia compagna mentre era in ospedale dopo il parto in tempo di covid e da mio figlio appena nato. Causa covid appunto, io non potevo andare a trovarli e il pezzo è stato come un veicolo per avvicinarci in quei giorni assurdi. La mia primissima quarantena è stata vissuta tutto sommato abbastanza bene, ha dato il via a dei progetti importanti per me: la paternità e questi mio progetto solista Castelli.
Quale intesa hai avuto con Luca Urbani? E come ha saputo cambiare e fare anche un po’ suo questo pezzo? Collaborerete ancora?
Conosco Luca Urbani da anni ma prima di questo progetto solista non avevamo mai collaborato. Luca al di là di questo featuring, è parte integrante del mio progetto, mi aiuta a produrre e mi accompagna nei live. Devo a lui anche la svolta verso l’italiano, ho sempre cantato e scritto in inglese nelle mie band precedenti. In questo pezzo in particolare Luca ha contributo parecchio nella produzione e con le voci “urbanizzando” una mia preproduzione scarnissima fatta con garage band al volo. Visto che non ci fermiamo mai, sto già pensando a nuovi brani per il mio prossimo disco che sarà prodotto sicuramente da Luca.
Ci racconti la connessione tra brano e copertina?
La copertina riprende un po’ le avanguardie artistiche di inizio ‘900 reinterpretandole digitalmente. È un parallelismo tra gli anni ‘20 del 900 e gli anni ‘20 del 2000 che sarà poi il concept creativo di tutta l’immagine del prossimo album (in uscita per Bordello a Paringi tra qualche mese.) ovviamente con l’augurio di non ripetere gli stessi errori del secolo scorso.
Cosa ti hanno lasciato gli anni Novanta?
Anche se la mia musica e le mie influenze sono più legate al decennio precedente, gli anni ‘90 mi hanno avviato alla musica, ricordo con piacere le cassette, i primi concerti e la mia prima band punk. è tutto iniziato tra il 98 e il 99 in un piccolo paese di provincia quando avevo 15 anni.