Tra pop d’autore, quella vena che tanto deve al Battisti/Mogol del tempo d’oro, quella liquida capacità di tramutare tutto in un gustoso rock e funk d’annata… il duo dei Bob Balera – al secolo Matteo Marenduzzo e Romeo Campagnolo – torna con un disco come “Pianeti” che gira bene, ci piace e dopo diversi ascolti si rende portavoce di tanti dettagli importanti. E noi peschiamo dal cilindro la voce (anzi la penna) di Matteo Marenduzzo per una chiacchierata come si deve.
Il sound e la direzione sembrano trovare la quadra. Il pop rock anni ’70 e ’80, Battisti e Mogol e poi anche quel glam inglese. Cosa manca?
Abbiamo affinato nel corso degli anni e delle prove in saletta il mondo sonoro a cui volevamo arrivare, grazie anche all’imprescindibile aiuto di due produttori di raro carisma e talento quali Claudio Corradini prima e Sandro Franchin poi. La canzone italiana anni ’70 e ’80, che ha prodotto innumerevoli brani iconici, la fa da padrona, mescolata a piacimento con altri generi che abbiamo masticato e spesso suonato in passato, tra tutte la musica inglese, spesso di matrice alternative, che fa parte del nostro DNA. Per il futuro, vogliamo spingere sull’aspetto funky, in particolare quello proveniente dalla scena napoletana, da Napoli Centrale a Stop Bajon del duo Tullio De Piscopo – Pino Daniele.
C’è tanta bellezza nell’estetica del progetto. La bellezza del corpo soprattutto… i due video lo manifestano ampiamente. Perché?
Hai colto un aspetto che abbiamo infatti curato minuziosamente. Innanzitutto, l’estetica sia fotografica che dei video è frutto delle idee dall’amico Antonio Campanella, per quanto riguarda il primo ambito, mentre Michele Piazza è il regista dei due video in questione. Grandi professionisti con le idee molto chiare e una spiccata sensibilità musicale, ai quali abbiamo lasciato ampio margine di libertà, in quanto noi stessi fan dei loro lavori precedenti. Inutile dire che la donna, nel ruolo di musa, oggetto del desiderio o, più spesso, causa di struggimento amoroso, è in qualche modo sempre presente nei testi di Romeo, e idealizzata nel nostro immaginario visivo come di disarmante bellezza, alla stregua di una sirena, ammaliante ma capace di portare alla follia l’uomo.
Il suono di brani come “Rimini” poi in qualche modo sorprendono vista la direzione: elettronica e di nuovo mondo inglese. Sbaglio?
Non sbagli! In Rimini abbiamo mischiato elementi Italo Disco a un certo sound indie inglese primi 2000 in stile Franz Ferdinand (che peraltro sono scozzesi), disincantato e danzereccio, in una commistione ardita magari, ma per noi assolutamente naturale. È anche uno dei pezzi che ci diverte di più suonare in ambito live.
E perché “Pianeti”? Che nuovi mondi state cercando?
Romeo ha scelto il titolo, l’idea è di conciliare brani e mondi musicali diversi, pur mantenendo una coerenza di fondo. Il titolo è anche una sorta di citazione dell’album Isole dei Public, band compagna di etichetta, rivisto in un contesto più ampio e un po’ smargiasso, d’altronde tutto ciò che facciamo ha in parte una chiave ironica – disincantata, che peraltro è anche la nostra forza vitale. Per quanto mi riguarda, da sempre appassionato di SCI-FI, tanto nella letteratura quanto nel cinema, trovo estremamente romantica l’immagine dell’uomo alla continua ricerca di nuovi stimoli, nuove conoscenze, nuove avventure, di qualsiasi tipo esse siano.
E la ricerca perché sta guardando al suono di ieri? Cosa vi spinge li e cosa vi respinge dal futuro?
Se per certi versi il nostro immaginario si rifà indiscutibilmente alla musica di ieri, credo sia altrettanto vero che abbiamo lavorato per rendere il tutto al passo coi tempi: l’elettronica è molto presente in Pianeti, magari non sempre in primo piano, ma è molto ricca ed elaborata, e la scelta dei suoni di sintetizzatori è stata sempre improntata ad una ricerca di sonorità contemporanee. Per tutto questo ringraziamo Marco Boem, che ha curato tutte le tastiere dell’album, con perizia, pazienza e gusto. Quello che digeriamo poco è il delegare a macchine la performance, ci piace suonare, sudare ancora su uno strumento, e continueremo presumibilmente a farlo fin quando potremo. Quindi, per concludere, non respingiamo il futuro, lo accettiamo e lo prendiamo secondo la nostra sensibilità e le nostre esigenze.