– di Assunta Urbano –
Il rock non è morto, semmai gli ascoltatori sono defunti. Ce lo dimostrano, tra gli altri, i Little Pieces of Marmelade.
Dalla provincia marchigiana, Francesco Antinori (Frankie), chitarra e cori, e Daniele Ciuffreda (DD), batteria e voce, suonano insieme da dieci anni e in soli due elementi ricoprono i ruoli di almeno quattro persone.
Nel 2020, partecipano a X Factor, che ha permesso loro di farsi conoscere da un pubblico più ampio. Arrivano in finale, grazie all’esibizione sulle note di “Muori Delay”, brano dei Verdena. Lo fanno portando sul piccolo schermo, in via del tutto eccezionale, Alberto Ferrari, cantante del gruppo bergamasco.
Il primo album del duo è del 2015, ma si tratta di un’introvabile perla rara. All’esordio segue cinque anni dopo “L.P.O.M.”. Entrano nella formazione dal vivo del loro mentore Manuel Agnelli e lo accompagnano in tour per tutta la scorsa estate, dimostrando che l’esperienza televisiva non li ha minimamente snaturati.
Il 7 ottobre del 2022 esce “Ologenesi”. Continuano la loro personale evoluzione, tra “porn rock/punk the blues/psychedelic crossover”, così come si presentano sulla biografia di Instagram.
Abbiamo intervistato i Little Pieces of Marmelade, per farci raccontare del nuovo disco e per capire dove sta andando oggi la scena alternativa in Italia.
È uscito venerdì 7 ottobre “Ologenesi” dei Little Pieces of Marmelade. Parliamo di questo lavoro e di cosa rappresenta adesso nel vostro percorso musicale?
“Ologenesi” rappresenta la nostra svolta in italiano. Sì, la consideriamo una maturazione, una crescita. Almeno questo è quello che speriamo! D’altro canto, ogni passo in una direzione nuova lo è.
I brani non hanno titolo e, come vediamo anche nei singoli già pubblicati in precedenza, per definirli usate semplicemente “Canzone 7” oppure “Canzone 10”. Perché questa scelta? È una forma di liberazione dalle convenzioni?
In realtà “Canzone X”, dove X è il numero, per noi è un titolo. Lo troviamo pieno di significati anche se può sembrare strano è un modo per far restare sul brano. Più che liberazione dalle convenzioni, è pura spontaneità, puro contatto con la voglia di andare alla sostanza.
Mentre componevamo e incidevamo il disco, i brani che erano ancora bozze avevano questi nomi, più passava il tempo più quella era la loro identità. E alla fine ci è piaciuto lasciarli così.
Di domande sulla vostra partecipazione a X Factor ne avranno fatte tante. La mia curiosità a riguardo è una: cosa vi ha spinto, e cosa pensate spinga allo stesso modo band come voi, a partecipare al programma?
Ci ha spinto a fare X Factor il fatto di essere in mezzo ad una pandemia, non avere modo di suonare live e far sentire a tutti il nostro disco che era appena uscito all’epoca. Nessuna etichetta era interessata a lavorarci.
Ci era arrivata questa chiamata che ci invitava a partecipare alle audizioni e abbiamo accettato! Fabrizio Ferraguzzo e Marica Casalinuovo, che adesso lavorano con i Måneskin, erano in cerca di “talenti” per un’edizione particolare. Era evidente che la gente l’avrebbe vista chiusa in casa.
Come vedi, è stato un percorso abbastanza lineare dal nulla al troppo pieno!
Da lì, Manuel Agnelli è diventato molto più che un giudice, quasi un mentore. Vi ha accolto come parte della sua band in tour e ha prodotto “Ologenesi”. Non è un caso, dato che vi ha definiti “autentici e rivoluzionari” in quel contesto televisivo. Quanto e come influisce la presenza del musicista nel vostro processo artistico?
Manuel è stato fondamentale per noi fuori e dentro la tv, ci ha fatto sentire sempre a nostro agio anche in situazioni molto lontane da noi.
Per il nostro disco, che ha prodotto, è stato sempre più che presente, quasi come un terzo membro, ci ha insegnato e trasmesso tanto. A un certo punto questa energia che si è creata è stata “circolare”. Soprattutto sul palco è stato divertente essere consapevoli di essere lì anche e soprattutto per fare da innesco al suo lato più rock. Manuel è davvero un mostro da palcoscenico. Si trasforma, sembra diventare alto quattro metri. Noi anche, eh! Però dovete venire a vederci live per rendervene conto!
In Italia, esistono tante realtà alternative, ma la maggior parte degli ascoltatori preferisce crogiolarsi nel passato e non aprirsi ai più recenti progetti rock. In questo modo, è spesso difficile riuscire ad arrivare al pubblico. Quale pensate sia il problema nel nostro Paese con le sottoculture musicali? Cosa dovrebbero fare i musicisti a riguardo?
I musicisti dovrebbero non fermarsi ai primi no, alle prime porte chiuse. Se uno ha la determinazione giusta arriva dove vuole prima o poi. Se uno è genuino e fresco arriva, se uno è costruito e scimmiotta altro fa più fatica forse. A dirti la verità, noi ci sentiamo ancora in una fase nella quale le porte si sono aperte ma da lì a considerarle spalancate ce ne passa. Il nostro album è uscito su etichetta Vertigo, Manuel in questo senso ha molto lavorato perché ciò accadesse, anche perché sembrava complicato che un’etichetta si prendesse in carico il nostro progetto.
Su chi esce da X Factor c’è sempre questo pregiudizio residuale. Tra chi viene parcheggiato e chi finisce nel buco nero della fama televisiva, spesso ciò che resta è una gran fatica a rimettersi in carreggiata. Quello che vorremmo per il futuro sarebbe incidere per un’etichetta indipendente grande e magari europea. Cioè, questo è un paese asfittico da questo punto di vista, senza grandi curiosità, senza investimenti, con orizzonti brevi. Ma non solo nella musica.
Vi prendo un paio di righe di “Canzone 8”: “La musica ci salva a volte mi ha distrutto / tra le mie mani è un’arma la punto, un sogno, il mio tutto”. Ci raccontate che impatto ha avuto la musica sulle vostre vite?
La musica è tutto per noi, ci ha fatto conoscere, ci ha fatto fare mille esperienze e conoscere tante persone a cui vogliamo super bene; inoltre, ci ha salvato da un sacco di casini!
È difficile trovare un modo per descrivere questi aspetti, sono profondi, personali, ognuno di noi li vive a modo proprio. Di sicuro stiamo bene su un palco e nei live è come se si aprisse una dimensione spazio-temporale nuova. Lo abbiamo già detto che ci dovete venire a vedere? Ah, sì, ma a parte gli scherzi, è lì che riusciamo a esprimere quella spinta che abbiamo dentro e che ci ha portati qui.
Dicevamo che non ci sono nomi di canzoni, ma l’album ha un suo titolo che è “Ologenesi”. In questa vostra evoluzione, in un “domani sarà come oggi” [“Canzone 7”], chi sono ora i Little Pieces of Marmelade? Chi puntano a essere domani?
I Little Pieces of Marmelade sono una band che è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Magari anche di entusiasmante. Amiamo fare i dischi, ne faremmo uno al mese. Per la gioia della nostra etichetta! Adoriamo suonare live e spaccare tutto, è una liberazione infinita fare quello che facciamo, speriamo di trasmetterlo bene a tutti. È un anno che tentiamo di partecipare a qualche festival internazionale, hai presente, no?
Diciamo “mandateci lì, fateci anche suonare alle undici del mattino, metteteci nel nostro brodo primordiale!”. Sembra più difficile del previsto, però. Questa difficoltà a uscire dall’Italia è imbarazzante, non la capiamo. Poi dicono a noi che siamo della provincia. Ma noi, dalla provincia, al massimo siamo arrivati a suonare a Milano in Santeria anche perché se vuoi è il “sistema” che ti fa ruotare sul territorio nazionale.
Insomma, noi domani vorremmo essere quelli che girano suonando ovunque nel mondo e fanno un disco all’anno.
“OLOGENESI TOUR”
3 novembre HIROSHIMA MON AMOUR Torino
4 novembre VIPER THEATER Firenze
5 novembre LARGO VENUE Roma
12 novembre VIBRA CLUB Modena