È un tempo strano questo che viviamo, da ogni fronte esistono rivoluzioni che intaccano sostanzialmente anche il vero senso quotidiano delle cose. Ed è opera di molti artisti, probabilmente non tutti, quella anche di “rivedere” le proprie scritture, in qualche modo darne nuove codifiche che siano, mutevoli anch’esse in luogo di mutazioni sociali inevitabili. Ed è questa una lettura che ci piace fare della nuova release a firma di Gianluca D’Ingecco in arte D.In.Ge.Cc.O. Quel “Bacanadera” di cui avevamo parlato ampiamente (LINK QUI) oggi diviene “Bacanadera Butterfly”: le composizioni assumono nuova forma, nuove tessiture, suoni più quotidiani, meno acustici, più cosmopoliti. Una sorta di “omologazione” critica alle inevitabili derive filosofiche che l’uomo è capace di compiere. E noi ci lasciamo portare a spalla… e in qualche modo, ci lasciamo contaminare dalle forme sempre più unidirezionali del suono come della vita.
Torna “Bacanadera” ma in una versione “umana” se mi permetti il violento riassunto. Da cosa nasce questo bisogno di trasformazione?
Ho come l’impressione di far parte di quella stretta cerchia di musicisti, o creativi “tout court” se vogliamo, che forse, hanno vissuto questi ultimi due anni, più di altri, in modo più introspettivo, riflessivo e intimista. Questo senso di attesa interminabile, di timore, di paura, durante e dopo la pandemia, quello che è accaduto in questi mesi e quello che sta accadendo nel mondo, aldilà degli effetti dell’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto, come può non averci lasciato dentro un grande senso di smarrimento, un senso di inquietudine? Come può non aver segnato il nostro modo di vedere il mondo, le cose che ci circondano? Quest’epoca di grandi trasformazioni che, nostro malgrado, nel bene e nel male, stiamo vivendo, ci lascia indifferenti nell’illusione che sia tutto di passaggio?
Tu dici che questo mio lavoro ha una dimensione più umana: è vero! Ma è appunto la percezione attuale, nel presente, della nostra misera condizione, dopo tutto quello che è successo e che sta accadendo, che ha segnato una trasformazione nel mio linguaggio espressivo. E credo che sia un bisogno connaturato in chiunque cerchi, in modo autentico, di essere figlio del suo tempo e come tale, di interpretarlo. Un sussulto di dignità contro chi forzatamente dice: ok è tutto finito, torniamo a fare quello che facevamo prima.
Che poi parliamo di trasformazione o di evoluzione? O magari di sintesi…
Entrambe le cose. Ci si evolve inevitabilmente, trasformandoci. Credere che ciò non avvenga è il più grande errore che si possa commettere contro noi stessi.
Questo mio lavoro è nato proprio da questa esigenza. Prendere atto delle trasformazioni e dei mutamenti che ci riguardano tutti, nessuno escluso. In questo lavoro è molto presente, nelle evocazioni sonore e nelle vibrazioni che ho cercato di trasmettere all’ascoltatore, una visione malinconica dell’esistenza data dalla rassegnazione di dover vivere tutte le contraddizioni del nostro tempo. È malinconia che però ci culla, come nei sogni e che lascia spazio a sprazzi di gioia e spensieratezza. E’ come un andare e tornare di stati d’animo intermittenti, tipici di chi non sa cosa accadrà ma cerca di prendere coscienza di un mutamento interiore, necessario, inevitabile.
Da quelle sonorità che tipo di viaggio hai fatto per giungere a questo nuovo disco? La metamorfosi del suono com’è accaduta?
Ho cercato, soprattutto in alcuni brani, di creare un suono rarefatto. Era quello che mi serviva per dare vita alla rappresentazione sonora del concetto di metamorfosi. Non ho voluto, però, rimanere ancorato a questo tipo di ricerca, ed ho cercato di animare un discorso musicale molto fruibile e, se vogliamo, orecchiabile, se mi passi il termine, proprio perché sono voluto rimanere sulla terra, in quello stato percettivo che si trova in bilico tra il sogno e la realtà, tra la malinconia e l’ottimismo, tra la disillusione e la speranza.
Troveremo gli stessi brani in nuova veste o sono brani diversi che conservano però una stessa radice?
Alcuni brani sono completamente distaccati da ogni matrice di riferimento ai brani del mio precedente lavoro “Bacanadera”, altri invece, sono brani che conservano, palesemente e volutamente, la stessa radice. Si tratta di un viaggio di ritorno che passa attraverso l’esperienza di “Bacanadera” e che segna una trasformazione. Stilisticamente tutti i brani sono ispirati a quel mondo lì ma alcuni di essi, volutamente, ne rappresentano la metamorfosi, una trasformazione che conserva evidenti tratti dei pezzi contenuti nel primo lavoro. Non a caso anche i titoli di questi specifici brani, riprendono le stesse parole di alcuni titoli di brani contenuti in “Bacanadera”, ma se ne discostano, al tempo stesso, anche nel significato, proprio perché si sono trasformati, sono mutati e stanno per liberare la farfalla dal bozzolo del bruco.
Resta simile però l’impianto visivo, le maschere, forse sono anche le stesse immagini però trasformate… “dietro la maschera c’è sempre la stessa persona”?
Nella rappresentazione visiva di “Bacanadera Butterfly” vale lo stesso principio. Anche qui siamo di fronte ad una trasformazione. Le Maschere, che non sono altro che la rappresentazione onirica dei nostri “demoni” (siano essi i demoni che incarnano le nostre più recondite paure e che ci vogliono immobili e terrorizzati di fronte ad ogni tipo di cambiamento o che, al contrario, ci ispirano a seguire le nostre vocazioni e ci vogliono liberare dalle nostre catene) anche qui si trasformano, si confondono, sembrano volerci comunicare il senso di un cambiamento imminente. Ed è chiaro che dietro queste maschere c’è sempre la stessa persona, il nostro “io” interiore, che però muta, si evolve, cambia, ci inviata ad accettare serenamente la nostra metamorfosi.
Si torna all’uomo o dall’uomo si evade per finire nel virtuale? Qual è la vera realtà di oggi?
La realtà che stiamo vivendo oggi è troppo spesso, e perdonami il gioco di parole, mistificazione della realtà. È come se l’uomo vivesse in un’eterna infanzia e come un bambino, pretendesse che le cose che non gli piacciono, vengano presto messe da parte, occultate alla sua vista, per continuare a giocare come faceva prima.
Tuttavia la necessità di affrontare il senso di smarrimento dei giorni che stiamo vivendo, deve prima passare attraverso la consapevolezza di un cambiamento necessario ed imminente, che ormai si impone.
Il bambino deve crescere e diventare adulto. Il cosiddetto mondo virtuale, la interconnessione e socializzazione tra le idee, le opinioni e il confronto, può rappresentare una grande opportunità capace di consentire agli esseri umani di ritornare a confrontarsi con il loro prossimo e con la loro vocazione sociale e anche con quella spirituale. Ma questo mezzo non può essere usato in modo superficiale ed essere fine a se stesso, come se fosse un gioco che serve solamente a riempire un vuoto esistenziale. Alla base delle distorsioni contemporanee dell’approccio con la realtà virtuale, c’è una crisi valoriale e di educazione alla riflessione. È chi usa il mezzo che deve imparare a comprenderne le potenzialità e non limitarsi ad usarlo come fosse un bambino, bensì come un adulto. Personalmente nutro ancora un certo ottimismo, quello che mi fa pensare che di fronte a tutto quello che è accaduto nel recentissimo passato e che sta accadendo nel presente, il genere umano stia comprendendo che non può tornare, come nulla fosse, alla realtà che c’era prima, ma che deve prendere coscienza del bisogno di una propria evoluzione, della necessità di esplorare nuovi sentieri per la convivenza tra i singoli individui e tra i popoli, per quanto faticoso e pieno d’incertezze possa essere questo nuovo cammino.