– di Martina Rossato –
Merifiore, cantautrice pugliese, nel 2014 risulta vincitrice dell’Arezzo Wave. Partecipa a festival nazionali e internazionali tra cui il Primo Maggio di Taranto, il Milano Film Festival, lo Sziget e il CMJ Music Marathon. Nel 2016 esordisce con il singolo “Tell Me”, uscito per Sugar Music e usato come sigla del programma #SocialFace. Apre i concerti di Giuliano Palma, Calibro 35, Cat Power, Willy Peyote, Dente e Beatrice Antolini. Nel 2019 esce per Ego Italy il singolo “Non hai mai visto un porno”, cui segue nel 2020 “Senza più chiedere”, con cui Merifiore partecipa al concorso di scrittura del CET di Mogol: il testo viene pubblicato in prima pagina nella rispettiva antologia. Lo stesso anno rilascia “Tickets”, brano che intreccia inglese e cinese. Dopo l’uscita, nel corso del 2021, dei singoli estratti “Valentina”, “Cattive abitudini” e “Mentire mentire” a maggio 2022 esce il suo disco d’esordio “Dentro”, fuori per Qui Base Luna.
Con “Dentro” esplori la tua interiorità, lasciando poco spazio a tutto ciò che avviene nel mondo esterno: da cosa nasce quest’esigenza?
L’esigenza di raccontarmi è nata dalla pandemia. Il lockdown ha offerto a molte persone lo spunto di fare più introspezione; così, fuori dalle distrazioni esterne, sono tornata a guardarmi dentro.
Ho proprio sentito il bisogno di raccontare le mie esperienze degli ultimi anni attraverso la mia lente, cercando di offrire un ventaglio di emozioni in cui ci si potesse rispecchiare. In quel periodo sono nate le nove tracce del disco.
Qual è stata la differenza tra lavorare a dei singoli e lavorare a un disco?
Quando si pubblica una serie singoli ci si concentra su un brano per volta e tra una pubblicazione e l’altra si ha il tempo di crescere e di migliorare. Lavorare a un disco richiede uno sforzo maggiore in tutti i sensi, perché non lavori soltanto ad una “frase” ma a tutto il “DISCO-rso”. È come scrivere una tesi, devi arrivare ad esprimere il tuo punto di vista passando per l’analisi di vari elementi (le canzoni).
Qual è il filo conduttore di “Dentro”, per te?
“Dentro” è un viaggio all’interno del mio mondo, quindi il filo conduttore del disco sono io. ☺
Tra l’altro mentre raccoglievo le canzoni notavo che in tutti i testi ricorreva sempre una parola chiave, che è poi diventata il titolo del disco.
Cos’è cambiato nel tuo modo di fare musica, rispetto al passato?
Si cresce e così cresce la tua musica. Col tempo ho sicuramente abbattuto dei muri e la mia musica mi piace sempre di più, perché è sempre più libera dalle sovrastrutture e sincera. Ho avuto più fiducia nelle mie scelte e nelle scelte delle persone che lavoravano con me al disco. Ho giocato con i suoni attraversando più generi, con la consapevolezza di un’artista indipendente che non vuole essere rinchiusa in una sola etichetta, ho cantato metriche serrate, quasi rap, in “È subito sera”, parlato d’amore in maniera assolutamente cruda e onesta come in “Non è colpa tua”.
Insomma con questo disco ho aperto il mio cuore, lasciando libero un varco, uno squarcio (quello in copertina), per entrare dentro di me.
La tua musica è una commistione di generi. Come riesci a farli comunicare?
Secondo me l’innovazione musicale sta nel creare sempre nuove “miscele”. Io sono l’insieme di tutti i generi che ho ascoltato (dai Beatles ai Radiohead, da Cat Power a Madonna per citarne alcuni), e questi riaffiorano come ricordi. Penso di averli legati insieme con la mia voce e la mia scrittura, che hanno una loro propria identità.
A proposito di influenze, hai partecipato a moltissimi festival nazionali e internazionali. Qual è stata l’esperienza che ti ha segnata di più e in che modo?
Sono felice di poter dire che sono cresciuta sul palco e che quella è stata la mia vera scuola.
Tante esperienze dal vivo mi hanno reso più forte e pronta a qualsiasi tipo di situazione (dal club al baretto, dal festival gigantesco all’house concert). Due concerti però hanno segnato più di tutti la mia vita, e sono avvenuti entrambi al primo anno di carriera nel 2014: il mio primo live all’estero a New York per il CMJ Music Marathon e la partecipazione al Primo Maggio Taranto, sul palco di fronte a centomila persone. Considero entrambi un battesimo di fuoco.
Oltre a mischiare generi, usi anche lingue diverse nello stesso brano, penso ad esempio a “Tickets”. Che messaggio vuoi dare?
Anche se questa canzone è nata per gioco, per ricordare il mio periodo universitario in cui studiavo inglese e cinese, si è rivelata poi essere importante per trasmettere un messaggio di lotta alla xenofobia. Ho scelto infatti di pubblicarla durante la pandemia, che essendo partita da Wuhan, aveva gettato fango sul popolo cinese. Volevo trasmettere un messaggio di pace e sfruttare la mia voce, perché la musica è uno strumento potente che tiene unite le persone. E questa già mi sembra un’ottima missione.
Qual è l’immagine di Merifiore che vorresti arrivasse al pubblico?
Quella di una ragazza ironica, brillante e forte (anche se ogni tanto piange).
Quali pensi che siano, invece, i tratti distintivi di quello che fai?
Penso che l’ironia, l’energia e la voglia di comunicare e di giocare siano i tratti distintivi del mio carattere e anche della mia musica. Adoro stare con le persone, ridere e scambiare good vibes: il mio palco è una giostra su cui tutti sono invitati a salire.
Qual è il tuo fiore preferito?
Gli oleandri piantati ai lati delle autostrade, perché quando scendo da Milano per l’estate e torno in Salento, mi ricordano che sono sulla strada verso casa…