– di Assunta Urbano –
Necessità. È forse questa la parola più frequente che troverete nelle prossime righe. Abbiamo conosciuto il progetto Vieri Cervelli Montel la scorsa estate, quando l’artista si è esibito al Siren Festival in apertura a Iosonouncane.
Il cantautore ha iniziato a muovere i primi passi nella musica alla Siena Jazz University. Qui ha incontrato quelli che sono diventati in un secondo momento i suoi compagni di viaggio: Nicholas Remondino (alla batteria preparata), Luca Sguera (pianoforte e sintetizzatori) e Alessandro Mazzieri (basso e contrabbasso),
Lo scorso venerdì 6 maggio, il musicista ha pubblicato il suo disco d’esordio, intitolato “I”, che si legge “primo”, ma si presta a mille diverse interpretazioni. L’album è stato pubblicato per la neonata Tanca Records, sublabel di Trovarobato, diretta proprio da Jacopo Incani.
“I” non è un traguardo, ma l’inizio di un percorso ricco di introspezione e sperimentazione. La forma canzone tradizionale viene distrutta, lasciando spazio a improvvisazioni elettroniche. Il fulcro dell’opera è il racconto fatto di immagini, parole e suoni, che evocano i sentimenti dello stesso protagonista.
Nove canzoni intense e laceranti, in cui Vieri Cervelli Montel prende coscienza del suo io interiore e mette in musica la sua sfera privata.
Il bisogno di esprimersi ed esorcizzare il dolore attraverso la materia artistica ci hanno avvicinato a questo lavoro profondo. Per comprendere al meglio un disco intimo come “I”, abbiamo fatto qualche domanda al suo creatore.
Nell’ultimo anno, gli ascoltatori hanno conosciuto il progetto Vieri Cervelli Montel come opening act di Iosonouncane. Al live all’Auditorium – Parco della musica di Roma hai raccontato al pubblico che all’ultimo concerto lì di Jacopo Incani eri tra il pubblico. Cosa ha significato accompagnare in tour “IRA”?
È tutto vero ed è stato abbastanza assurdo. Jacopo e io abbiamo un legame da qualche anno. Inizialmente a distanza, gli inviavo i miei brani, poi ha deciso di produrre il disco e siamo diventati amici. Non mi sarei mai aspettato la proposta di aprire i suoi concerti. È stato estremamente emozionante, soprattutto la data romana. Nella stessa sala, a distanza di tempo, c’era qualcun altro seduto al mio posto e io ero sul palco a suonare. Tutt’altro che un traguardo. Senza superbia, per me è un inizio. Forse il modo migliore per portare dal vivo i miei pezzi.
Venerdì 6 maggio è uscito il tuo disco d’esordio “I” [primo, ndr]. Ci racconti di questo album?
Si tratta del mio primo lavoro e anche il primo pubblicato da Tanca Records. È un progetto che ha preso il via cinque anni fa e tramite il quale ho affrontato, metabolizzato, sviscerato intere aree della mia vita con cui avevo grandi conti in sospeso. Traumi e dolori legati a perdite che hanno avuto luogo nella mia infanzia. È stato un percorso necessario, come dico spesso. È venuto fuori da sé. Quando scrivevo musica, sentivo il bisogno di farlo. Poi mi sono reso conto che tutti i pensieri orbitavano intorno alla stessa sfera di significati e suggestioni. Ero convinto avrei fatto un disco elettronico, completamente da solo. In seguito, ho iniziato a coinvolgere tanti musicisti che stimo e Iosonouncane, che ha deciso di produrlo. Finalmente è uscito.
Le nove canzoni sono le prime pubblicate dalla nuova etichetta Tanca Records. Che importanza ha per te fare da apripista a questa nuova avventura?
È motivo di grande orgoglio. Mi sento onorato che questo sia il primo disco di un progetto così importante in senso sociale. L’operazione di Jacopo e Tanca Records è fondamentale nel contesto artistico attuale. L’etichetta si prefigge un modo del tutto diverso di promuovere la creazione di musica. È un approccio libero, investigativo, trasversale.
Per quanto riguarda il processo creativo, ha influito la presenza di Iosonouncane nel lavoro?
È sempre curiosa la risposta a questa domanda, perché quantitativamente poco e qualitativamente tantissimo. Jacopo è intervenuto in una fase della creazione del disco in cui i brani erano già completi. Lui ha una grandissima sensibilità ed esperienza, è stato salvifico in varie occasioni. Ha questa capacità di scovare un singolo elemento portante, del testo o della musica, e di stravolgere tutto. Averlo al mio fianco, mi ha fatto sentire sostenuto. In un percorso travagliato e doloroso come quello del disco è stato prezioso.
“I” è un concept album autobiografico. Oggi, viviamo in una società in cui, a volte, sembra che l’io non riesca ad emergere dal “noi”. In questo momento storico, pensi sia importante esprimere se stessi tramite la musica?
Mi colpisce questa visione, perché io credo spesso che siamo in una sorta di “impero dell’io”, culto del sé, a causa soprattutto dei social. Il disco si presta sicuramente a varie letture. Già solo a livello grafico “I” significa “primo”, ma potrebbe sembrare un “I”, io in inglese, oppure un monolite. È un album certamente autobiografico, lo è più per necessità che per scelta. I brani orbitano intorno a una certa narrazione della mia vita. Avevo il bisogno di esorcizzare alcuni eventi attraverso la musica. Non so e non mi sono mai chiesto che tipo di valore potrebbe avere a livello comunitario. Si tratta comunque di elementi archetipici: l’infanzia, l’assenza, la perdita, la morte. In questo senso, può essere anche un disco di tutti.
“I” è un piccolo e intimo viaggio sonoro, pieno di sperimentazioni. Che ruolo ha avuto il suono nella tua vita e quale nel tuo progetto musicale?
Il suono ha un ruolo basilare nella mia vita, da sempre. Non sono nato in casa di musicisti, non ho studiato fin da piccolo. È iniziato tutto da una passione personale. Ho avuto colonne sonore per ogni periodo della mia esistenza e alcune mi sono rimaste dentro, come per un certo cantautorato. La musica poi, gradualmente, si è ritagliata uno spazio preponderante e ho deciso di approfondirla. L’ho scelta senza saperlo, senza rendermene conto, come mezzo per fare ricerca attraverso me stesso e la mia storia. La ricerca musicale che ho fatto negli ultimi anni coincide con quella introspettiva e personale.
Dal lato grafico, se “I” ricorda un monolite, accostato ad un’altra figura simile avremmo due linee parallele. Ci sarà un secondo capitolo con un’immagine del genere?
È un’ottima domanda, a cui però non posso rispondere [ride, ndr]. “I” è un capitolo unico, ma sto lavorando su altri progetti e non saranno svincolati.
Ci sono tante immagini concrete della tua infanzia. Quanto c’è di quel bambino nel disco e quanto di lui dentro Vieri Cervelli Montel nel 2022?
La stessa percentuale, che è altissima. Il disco è incentrato sulla mia infanzia perché la mia vita dipende da ciò che ho vissuto in quel periodo. Io mi sento ancora fortunatamente e profondamente bambino. Mi sento indissolubilmente legato a tanti eventi, luoghi, atmosfere e sensazioni di quando ero piccolo. Credo sia così per tutti. Nell’album si riflette nella scelta delle parole, sempre semplici, mai auliche o troppo ricercate. Lo stesso riguarda l’utilizzo della voce, sussurrata eppure sempre in primo piano. Scrivendo questi brani ho continuamente pensato al me bimbo. Sono contento che sia ancora oggi la parte più emotiva di me.