– di Giacomo Daneluzzo
Foto in alto di Chiara Ceccaroni –
I Panta esordiscono ufficialmente nel 2016 con l’EP “Cause/Effetti”, cui segue l’anno successivo la pubblicazione del libro Poesia in forma di Rock del frontman Giulio Carlo Pantalei, con una prefazione di Paolo e Carlo Verdone (oggi alla terza ristampa). Nel 2019 esce il loro disco d’esordio “Incubisogni” (MEI/Goodfellas), ultimato ai Panic Button Studios di Londra dal produttore Steve Lyon, che ha lavorato con nomi come Depeche Mode e Cure.
Il gruppo all’attivo oltre trecento concerti in tutta Italia e ha collaborato con figure come Negrita, Carlo Verdone, Garbage, Samuel (Subsonica), Turin Brakes, Motta, Andrea Ruggiero, Giorgio Canali, Capovilla e la David Lynch Foundation. Nell’estate del 2019 suonano al MI AMI Festival di Milano e al main stage di Villa Ada a Roma, in apertura ad Iron & Wine + Calexico.
I Panta hanno cercato di costruire un ponte tra Italia e Inghilterra: nel 2015 Giulio Carlo Pantalei è stato eletto Youth Ambassador per ONE, ONG di Bono Vox, grazie a cui i Panta hanno avuto due stand prima dei concerti di U2 e Noel Gallagher allo Stadio di Roma e al Forum di Milano; nel 2019 il gruppo ha iniziato a collaborare con il produttore Steve Lyon e nel 2020 i Panta sono stati invitati a registrare nei prestigiosi Abbey Road Studios, dove hanno recentemente lavorato a materiale inedito insieme a Paolo Violi, grazie al quale hanno conosciuto gli Arctic Monkeys e hanno accompagnato Carlo Verdone a ritirare il riconoscimento della Italian Society della University of Oxford.
Inizio chiedendoti come stai, in questo periodo così pieno di impegni.
Sono un po’ stanco: sono stato a Londra, Milano, Pavia e Roma in pochissimo tempo, per poi tornare in Francia. Spero di reggere tutti questi spostamenti.
Senti, il tuo ufficio stampa mi ha detto che quest’orario andava bene perché “c’è la ricreazione”: quindi sei un insegnante?
Sì, sono un prof, anche se un po’ per caso. Ho conseguito un dottorato in lettere lo scorso maggio: fino a quel momento il mio percorso era stato più che altro accademico e avevo lavorato come ricercatore. Inoltre stavo collaborando con Mondadori, come autore, ma non sapendo se il mio contratto sarebbe stato rinnovato o meno ho accettato questo lavoro come insegnante: sto insegnando in una scuola media italiano, storia e geografia. Sto cercando di iniziare i miei studenti al rock: ogni volta che è possibile gliene parlo!
Di estrazione io sono un “letterato”. La mia passione musicale nasce da quella letteraria e le ho sempre portate avanti insieme, in parallelo. La poesia e la musica sono le mie più grandi passioni e le canzoni che ho iniziato a scrivere nascono proprio da questo: volevo trovare una mia chiave espressiva, che unisse l’anima letteraria a tutta la musica che ascoltavo, che poteva star bene come sottofondo di ciò che volevo dire.
In effetti i tuoi testi sembrano essere frutto di un confronto con un aspetto più letterario-poetico. Ci sta, in effetti, che tu abbia questo tipo di vocazione.
In Italia abbiamo la fortuna di avere una tradizione cantautorale bellissima. Tra l’altro anche Guccini ha insegnato, anche Vecchioni, che era proprio un latinista e grecista. Da Bob Dylan in avanti, passando per i Cure, i Radiohead… Sono moltissimi a nascere come letterati, laureati in lettere, soprattutto. Sting insegnava inglese, storia e geografia.
Si vede che è un binomio che funziona particolarmente bene, quello tra insegnamento e musica!
Sì, da sempre, Dall’antica Grecia. Forse sono le due discipline che meglio s’intersecano tra loro.
Il 1° aprile 2022 siete stati il primo gruppo italiano a entrare nei celebri Battery Miloco Studios dei produttori Flood e Alan Moulder [che hanno lavorato con nomi leggendari come U2, Nick Cave, Depeche Mode, Smashing Pumpkins l’uno e Nine Inch Nails, Arctic Monkeys, Foo Fighters, Interpol ed Editors, ndr] per registrare. Inoltre collaborate ormai da tempo con gli Abbey Road Studios. Cosa significano queste cose per un gruppo italiano? Vi sentite più orientati verso l’Italia o verso il panorama internazionale?
Possiamo dire di essere un gruppo fieramente italiano, ma con una forte vocazione internazionale. Per anni nell’indie italiano c’è stato questo – passami il termine – provincialismo, soprattutto a Roma: si percepiva che “quello che succedeva” nella scena in realtà era quello che succedeva nel localino x, che dovevi beccare ogni domenica. Forse è anche il genere che facciamo a guardare fuori dall’Italia. Ma anche per i tempi che corrono la cosa fondamentale è ciò che succede anche nel resto del mondo, non solo nel proprio piccolo orto. Insomma, questo rapporto con “l’estero” è venuto naturale, negli anni. Ci sono vari fattori, che si sono compenetrati a vicenda. Ho presentato il mio libro, Poesia in forma di Rock, in giro e ho esteso quest’esperienza ai Panta. è stata un’esperienza bella e formativa. Siamo stati testimoni di ONE, l’ONG di Bono Vox, e per un po’ di anni abbiamo partecipato a vari eventi tra Francia, Regno Unito e Belgio. Anche a livello di necessità espressiva sentivamo il bisogno di uscire dai confini, di confrontarci con ciò che è “l’altro”, per poi tornare in Italia forti di un background diverso. Mi sono trasferito per un po’ di mesi in Inghilterra e da quest’esperienza è nata la collaborazione con gli Abbey Road Studios, Carlo Verdone mi ha chiamato a fare un evento con lui, ho conosciuto gli Arctic Monkeys… Insomma, è stato un periodo veramente incredibile.
Un ragazzo romano, Paolo Violi, anche lui insofferente nei confronti di questo “lato provinciale” di Roma, sentiva di non essere compreso a livello espressivo e professionale, così è andato in Inghilterra; essendo davvero un grande lì è riuscito a fare i numeri e ora lavora come technician agli Abbey Road Studios, dove ha anche voce in capitolo per presentare i propri progetti. È stato lui a voler lavorare con noi: ci ha chiamato e ci ha invitato. Agli Abbey Road conta la musica più di tutto il resto. È la prima volta che lo dico: loro hanno sempre ascoltato i nostri pezzi, prima di farci andare; mandavamo la demo e se i pezzi piacevano potevamo andare, altrimenti no. È stata sempre una messa alla prova ed è anche una dimostrazione della serietà di questo studio, che è uno dei più importanti e iconici al mondo per un motivo. La musica lì viene trattata in modo diverso, rispetto all’Italia, in modo più “puro”, nel senso più punk del termine. Abbiamo registrato tutto ciò che potevamo registrare e cerchiamo di portare quest’attitudine anche in Italia. A prescindere dai numeri e dai soldi che fai, quello che interessa è quello che si vuole dire, comunicare, esprimere. E bisogna prendere atto del fatto che l’indie, alla fine, è diventato il nuovo pop: l’itpop. E alla fine adesso è quella roba lì, nel tempo sono venuti proprio a mancare i contenuti. Non ho paura di dirlo: dichiaro l’appiattimento dei contenuti nell’indie pop italiano.
A livello di progetti futuri puoi parlarci di qualcosa?
Posso spoilerare che la nostra intenzione è far uscire il disco all’inizio del 2023: lavoriamo a Londra con un produttore di Roma, Paolo Violi, e a Roma con un produttore di Londra, Steve Lyon, e questa cosa è successa proprio per caso, non l’abbiamo fatto apposta! Ad ogni modo abbiamo una sorta di team: metteremo insieme il lavoro che abbiamo fatto con Paolo e quello che abbiamo fatto con Steve, con cui registreremo almeno un altro paio di pezzi, qui a Roma.
Tutto questo si sposa davvero molto bene ed effettivamente all’inizio lavoravamo in modo autoprodotto, ma questi due producer, uno più giovane (Paolo) e uno più esperto (Steve), con le loro visioni e le loro esperienze, ci stanno aiutando a realizzare il disco che siamo nati per fare, come gruppo. In questo disco dobbiamo e vogliamo mettere tutto.