Uscito venerdì 8 aprile 2022, “Blackbird” è il nuovo singolo di Henry Beckett, il cantautore dall’anima americana e di stanza a Milano. Dopo il recente singolo “A boy needs to grow”, che aveva segnato il ritorno di Henry Beckett dopo quasi sei anni di assenza, il nuovo singolo “Blackbird” affronta un tema complesso, descrivendo la sensazione che proviamo quando siamo in bilico, tesi verso un obiettivo, una condizione piena di solitudine che ci costringe a scelte che spesso paiono folli.
Se un traguardo personale ci rendesse disposti a sacrificare qualunque cosa pur di raggiungerlo, probabilmente alcune nostre azioni, agli occhi esterni, parrebbero irrazionali o incomprensibili. Per noi, al contrario, le stesse azioni sarebbero inattaccabili, necessarie e sempre sostenute dal bisogno pressante di arrivare alla meta. In questa condizione, nessun giudizio terzo ci porterebbe a vacillare e noi continueremmo dritti per il nostro cammino. Il brano parla proprio di chi è in grado di mettersi in una posizione scomoda, forte di una sicurezza che non accetta ripensamenti e con cui affrontare ogni sacrificio richiesto. Può essere una condizione piena di solitudine, proprio perché spesso non sono chiari agli altri i motivi delle nostre scelte. Quando però si incontra qualcuno con le nostre stesse inclinazioni, diventa occasione di unione profonda attraverso la quale farsi forza e scommettere insieme.
Abbiamo deciso di parlarne direttamente con lui.
Come mai hai scelto il nome di “Henry Beckett”?
Ho sentito l’esigenza di avere un nome d’arte per via del genere musicale che propongo, molto distante dall’immaginario italiano. Ho dunque mantenuto il nome della mia prima band “The Beckett”, affiancandogli quello con cui tutti chiamavamo mio padre: Henry. Ciò mi permette di tenere sempre vivo il ricordo della persona con cui più ho condiviso l’amore per la musica. È stato lui a credere in me e nel mio percorso artistico fin dall’inizio: non scorderò mai il giorno in cui mi regalò la prima chitarra o quando, di sera, ascoltavamo le demo prodotte durante la giornata pensando al traguardo di registrare un disco. Sono molto affezionato a questo nome e lo porto con orgoglio, soprattutto perché così non smetterò mai di sentirmi in contatto con lui.
Come si concilia la tua attività di attore con quella di cantautore?
Sono due passioni che amo, che vorrei portare avanti in parallelo e che si nutrono vicendevolmente. Essere un cantautore mi dà più versatilità come attore nelle parti da studiare e lo studio della recitazione è una continua occasione per esplorare e conoscere fatti, emozioni e storie che altrimenti ignorerei. Tutto questo va inevitabilmente a depositarsi nella cassetta degli attrezzi di cui mi servo per la scrittura di una nuova canzone. Inoltre, credo che il percorso attoriale possa essere molto utile per chiunque debba esibirsi su un palco di fronte a un pubblico, cosa che sono felice di poter sfruttare. Spero veramente che tutto questo non cambi ma che, anzi, si intensifichi!
Cosa ti spinge ad utilizzare la lingua inglese, nonostante la scena musicale vada in una direzione opposta?
Il semplice e puro fatto che in questa lingua mi sento nel mio mondo e a mio agio quando faccio musica. Credo che, quando si crea, sia più essenziale preservare questa dimensione piuttosto che farsi guidare dalle leggi di mercato. Tra l’altro penso che la scelta della lingua sia come la scelta di uno strumento: io ho scelto di suonare la chitarra e di cantare in inglese.
“Blackbird” ha lo stesso titolo di un noto brano dei Beatles. C’è qualche legame a riguardo?
È una stupenda canzone, ma nella mia “Blackbird” non c’è alcun rimando alla prima. Ho scritto il mio brano semplicemente immaginando un uccello provenire da una terra lontana, portandone la sabbia e posandomela nelle mie mani. Toccandola ho capito che avrei dovuto raggiungere quel luogo.
Com’è evoluto il tuo progetto durante la tua assenza?
Dopo il mio primo EP “Heights” ho continuato a scrivere e, tra vecchie e nuove canzoni, ho messo insieme il materiale per la produzione dell’album “Riding Monsters”, ora anticipato dai singoli “A Boy Needs To Grow”, “Blackbird” e un terzo che annuncerò a breve. Un enorme salto in avanti a livello di consapevolezza e maturazione artistica l’ho fatto grazie a Max Elli, con cui ho arrangiato e prodotto tutti i brani del disco. Registrare con lui è stata un’esperienza unica di cui conservo un ricordo fantastico e che mi ha arricchito più di quanto pensassi. Inoltre, oggi ho un’idea più chiara del perché faccio musica. Vorrei raccontare la mia esperienza di continua ricerca della propria strada, quella dove è possibile sentirsi realmente se stessi, nonostante spesso si cada in spazi vuoti e disorientanti. Cerco di mettere in evidenza i dolori e i piaceri di questo percorso, sperando di far sentire meno solo chi li affronta trovandosi, come me, a volte in difficoltà.