– di Giuseppe L’Erario –
Gli Araputo Zen sono un quintetto napoletano che si presenta ad oggi come uno dei protagonisti dell’affascinante multietnicità del capoluogo partenopeo. Gli intrecci sonori proposti da questi cinque validissimi musicisti nel loro ultimo disco “Majacosajusta” provengono infatti da influenze innumerevoli: dal jazz al folk, dalla classica al rock.
“Majacosajusta” incomincia con una traccia dal titolo “Drummond nel vento”, termine che oltre a sembrare una crasi linguistica e semantico-musicale tra due strumenti (la batteria e l’organo Hammond), è anche il cognome di alcuni musicisti rinomati. Parlo ad esempio di Bill, Don e Dean Drummond, quest’ultimo noto come musicista, arrangiatore e compositore. La sua musica ha messo in evidenza l’uso della microtonalità, dell’elettronica e della specifica varietà delle percussioni, tanto da ispirarlo nell’invenzione di uno strumento a 31 toni chiamato lo zoomoozophone. Il brano che apre questo disco è un evidente omaggio a tale ingegno, con un’intro di chitarra in arpeggio che incontra poi un mandolino e le note di un violino dallo stile balcanico. In risalto, ovviamente, ci sono le percussioni, che regalano una colorata immagine dell’eccitazione sensoriale di una composizione ricca di incastri etnici.
Il percorso concettuale di “Majacosajusta” continua con un brano che ci porta ai suoni della tradizione folk sudamericana. La sensualità di “Makipegua”, una milonga dolce e tenebrosa, ricca di sonorità tanghere, si fonda su un contrappunto di strumenti ad arco e a percussione, delineando un brano appassionato e attraente.
Il viaggio sonoro nel sud delle Americhe è messo in pausa dal successivo brano “Venerdì mattina”. Questo breve intermezzo fa da incipit al tuffo negli splendidi colori del Mar Mediterrano di “Vefio”, una melodia di ispirazione magrebina con alcuni tratti di bossa nova. Il vefio è un piccolo balcone coperto da una volta ad arco policentrico (di derivazione araba), il quale viene egregiamente preso come oggetto di ispirazione dagli Araputo Zen per sottolineare il particolare incontro tra architettura sonora e architettura classica.
Il quinto brano dell’album è “Algheritmi”, una traccia che sottolinea la pluralità etnica di Alghero e in generale della musica sarda. In aggiunta all’intreccio sonoro voluto dal quintetto napoletano, c’è un hang drum che rende il tutto più contemporaneo. Il gruppo etno-prog rende omaggio, con delicate parti strumentali, alla musica di De André che in Sardegna fu protagonista, insieme a sua moglie Dori Ghezzi, di un’esperienza umanamente molto intensa.
Il disco prosegue con “(In) Sanità”, un brano molto vicino alla drammaticità e alla teatralità napoletana. Napoli è una città che paga a caro prezzo l’emarginazione sociale, così come la disoccupazione, e questo sommerge, purtroppo, le potenzialità storico-culturali del famoso rione Sanità, noto quartiere del centro storico. Dal punto di vista musicale questa traccia ha delle parti melodicamente dilatate si intrecciano con una spiccata dinamicità ritmica.
Il viaggio etnico di “Majacosajusta” si chiude con la title track, un brano che celebra, con un tocco di tribalità e di modernità nella chiusura, il ricordo delle più rinomate band progressive italiane, eccellenze della nostra musica contemporanea.
L’esplorazione caleidoscopica di questo disco risalta la particolare vena creativa degli Araputo Zen, i quali con la loro musica danno valore alla multiculturalità napoletana e celebrano le particolarità delle realtà culturali che si affacciano da secoli sul Mediterraneo.