Eccolo “Libre”, nuovo disco di Diana Tejera, cantautrice di lungo corso che molti ricordano in forza ai Plastico anche sul palco di Sanremo nel 2002. Oggi torna con un disco in bilico tra ballad e rock, tra modi popolari e gustose soluzioni di ricerca. In spagnolo, inglese e francese, la voce della Tejera ci accompagna dentro un lavoro nato sotto le restrizioni del Covid-19 e che qui ci narrano di libertà, di momenti di vita, di personali resistenze. Con l’artista romana troviamo anche Barbara Eramo (nei brani “Libre” su testo di Prevert, “Una sola palabra” e “En tus ojos”), Bea Sanjust (che insieme a Diana ha curato i testi in inglese, brani psicologici e relazionali, che indagano sulla complessità dell’essere umano), Lamine (“True Lie” e “True Lady”) e poi i musicisti Andrea Di Cesare, Fabio Rondanini e Giampaolo Scatozza.
Inevitabile partire da questo titolo. Cos’è per te la libertà?
Per me la libertà è la possibilità dì esistere ed esprimersi aldilà dì uno schema prestabilito (nel rispetto degli altri, della natura e del mondo in generale) ma in questo caso ho scelto come titolo “libre” perché in un momento in cui si era costretti a stare chiusi in casa ho sentito di essere libera attraverso la bellezza e le relazioni. Ecco, ho pensato che la vera libertà risiede nei legami (costruttivi ovviamente).. non nell‘ assenza di essi.
Un disco multietnico non solo nella voce ma anche dentro le soluzioni. Che mondo e che luoghi hai cercato di raggiungere?
Sempre dovuto al lockdown ho avuto la possibilità di esprimermi e ricercare suoni senza pressioni esterne, con tutto il tempo e la libertà immaginabili. Questo mi ha permesso di sperimentare, senza troppi ragionamenti, per il piacere di farlo. Mi sono molto divertita a mischiare suoni acustici con quelli elettronici, a suonare synth e batteria elettronica. Diciamo che ho cercato di andare un po’ oltre la mia comfort zone.. cantando in inglese e francese e portandomi in mondi inesplorati.. appunto forse più elettronici. Di sicuro nei brani in lingua spagnola ho cercato di raggiungere la mia seconda casa, la Spagna, ma anche il Sudamerica.. come se fossero però vicini alla Norvegia per quei suoni appunto un po’ più eterei, elettronici e “freddi” che ho utilizzato.
Oppure è vero che libertà significa anche non avere confini e classificazioni?
Certamente le classificazioni e le barriere non rendono liberi, anche se come ho detto prima certi confini (chiaramente scelti) possono far sentire ancora più liberi.
Da qualche sfumatura jazz alla tecno-dance anni 2000. Ma parlando di produzione che cosa cercavi di preciso?
Cercavo di non precludermi delle possibilità, volevo osare.. provare a indossare nuovi abiti che immaginavo poco adatti a me proprio per un’idea un po’ rigida che avevo del mio percorso artistico. Dunque l’unica regola è stata: provare tutto, divertirmi e cercare di non giudicarmi. Di sicuro cercavo un suono nuovo, moderno, “arioso” e in certi momenti più ballabile.. volevo allontanarmi dal cantautorato classico, almeno per un po’.
E che filo conduttore troviamo con il tuo passato?
Beh, credo che nella scrittura e nella ricerca armonica si senta il mio stile. La produzione è diversa ma alcune melodie e armonie penso che siano decisamente il filo conduttore con il mio passato. Continuano a piacermi gli accordi minori e le aperture inaspettate, le modulazioni e certi mondi intimi e rarefatti.