– di Giacomo Daneluzzo –
Giulia Pratelli esordisce nel 2012 con l’album “Via!”, uscito per Joe & Joe; in seguito collabora con artisti come Fiorello, Enrico Ruggeri, Grazia De Michele, Marco Masini, Edoardo Bennato, Diodato e Mirkoeilcane. Il suo secondo album in studio arriva nel 2017, s’intitola “Tutto bene” ed esce per Rusty Records, prodotto da Zibba. Nel 2018 crea e organizza lo spettacolo “Come è profondo il mare”, omaggio a Lucio Dalla che la porta a esibirsi nei teatri e nei locali di tutta Italia insieme a Tommaso Novi, Giorgio Mannucci e Luca Guidi; nello stesso anno vince il premio per il miglior testo al Premio Bianca D’Aponte con il brano “Non ti preoccupare”. Nel 2020 apre alcuni live di Paolo Benvegnù e firma per l’etichetta indipendente Blackcandy Produzioni, con cui pubblica i singoli “Un’altra domenica (canzone a casa)” e “Qualcuno che ti vuole bene” (feat. Bianco); i tre brani, insieme a “Le cose da fare”, già contenuto nella compilation “Benvenute” (prodotta da Musica di Seta), anticipano il terzo lavoro in studio della cantautrice, “Nel mio stomaco”, uscito nel 2022 per Blackcandy Produzioni, che vede nuovamente Zibba in veste di produttore.
Hai definito “Nel mio stomaco” un «disco in movimento»; infatti si tratta di un viaggio interiore ed esteriore, diviso tra lo sguardo alle emozioni e ai cambiamenti interiori e quello agli avvenimenti e alle relazioni con gli altri. Che cosa racconta “Nel mio stomaco” della sua autrice e del suo rapporto con il mondo, interiore e non?
Racconta tantissimo, soprattutto il modo di vedere le cose, di osservare le persone e di relazionarsi con gli altri, provando sempre a trovare intorno una piccola luce… Anche quando sembra molto difficile.
Che differenze ed evoluzioni riscontri in “Nel mio stomaco” rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Mi piacerebbe sentire cosa ne pensano gli ascoltatori ma, nel frattempo, dico che secondo me è un album con una visione più chiara e un’identità musicale più forte. Penso che il tempo trascorso dal lavoro precedente mi abbia permesso di crescere e di capire meglio che direzione prendere e in che modo farlo. Vivo questo lavoro come un piccolo passaggio di maturità, sperando che sia solo uno di molti passi.
Hai partecipato alla compilation “Benvenute”, un progetto per sensibilizzare sul tema della condizione femminile. Il mondo della musica è un mondo parecchio sessista: com’è la situazione e che cosa possiamo fare, attivamente, come pubblico e come comunità di artisti e addetti ai lavori, per migliorare la situazione?
Penso che purtroppo la situazione non sia realmente migliorata, o meglio, che i passi avanti fatti negli anni siano stati fondamentali e importanti ma non siano ancora sufficienti. Non ho la ricetta ma ho sempre pensato che l’unione possa fare la forza e che, per quanto sia complicato, sia necessario provare a incidere sulla mentalità: con il dialogo, la divulgazione, una comunicazione onesta… Iniziare a non trattare le artiste come una minoranza da esibire, proteggere, ma come parte integrante e naturale del mondo dell’arte e di tutto ciò la circonda.
Ho letto che “Nel mio stomaco” sarà disponibile anche in formato fisico: che cosa vuol dire, oggi, pubblicare ancora le copie fisiche, quando il mercato sembra richiederle sempre meno? Può essere inteso come un atto di resistenza nei confronti di una discografia sempre più complessa e, per certi versi, spietata?
È sicuramente una scelta non scontata, in questo momento, ma non ho mai pensato di fare diversamente. In questi anni (prima della pandemia) ho avuto la fortuna di suonare in moltissimi contesti, piccoli e grandi, e di incontrare ascoltatori interessati all’acquisto di un disco, di qualcosa da portare con sé oltre al ricordo della serata trascorsa insieme.
Facciamo molti sacrifici e portiamo avanti il nostro lavoro con serietà e passione… Poterlo in qualche modo vedere concretamente, toccare, passare di mano a chi abbia voglia di tenerlo con sé è qualcosa di bellissimo e importante.
A questo proposito: negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di un nuovo mainstream e in generale di nuovi generi e contaminazioni nel panorama discografico, anche a livello indipendente. Che cosa pensi della scena del cosiddetto “nuovo cantautorato”, in cui per certi versi potremmo inserirti, per genere musicale e “ambiente” di provenienza, vista la collaborazione con due nomi di spicco di questo genere come Zibba e Bianco e con l’etichetta Blackcandy Produzioni? Ti ci ritrovi?
Penso che la scena cantautorale sia ricca e piena di cose bellissime, spesso purtroppo nascoste, ma preziose. Poter collaborare con artisti come Bianco e continuare a lavorare con Zibba per me è un regalo: sono artisti che stimo tanto e che regalano al loro ambiente musicale produzioni sempre nuove, capaci di proporre un linguaggio originale e un modo di guardare personale.
Ci sono forse degli accenni a Pisa («Non c’è il mare nella mia città»): che rapporto hai con la tua città e come ti ha influenzato o ti influenza artisticamente?
In realtà provengo dalla provincia ed è lì che ho trascorso la maggior parte della mia vita. Penso che la mia provenienza abbia inciso e incida sulla mia scrittura perché mi sento molto legata ai miei luoghi, ai loro colori, al ritmo più lento della vita di paese… Però, devo essere sincera: quando ho scritto “Luglio”, per una serie di motivi, pensavo a Roma, una città in cui ho vissuto e alla quale sono legatissima.
Nonostante la produzione sia molto curata e raffinata, come ci si aspetta da un produttore esperto e talentuoso come Zibba, trovo che il “focus” del tuo lavoro siano i testi, particolarmente sensibili e cantautorali. Ti ritrovi in quest’analisi? Che rapporto hai con la scrittura, che ruolo ha nella tua vita?
Penso che sia naturale incentrare la produzione sulla scrittura quando si lavora al progetto di una cantautrice o di un cantautore e sono contenta che all’ascolto emergano anche le parole e i testi a cui ho lavorato molto e che ho scelto con cura. La produzione di Zibba è stata un lavoro perfetto, secondo me, perché ha rispettato le mie idee e la natura delle mie canzoni, aiutandomi a trovare loro il vestito migliore, senza mai intervenire a gamba tesa nel mio mondo.
La scrittura (non solo musicale) ha per me un ruolo fondamentale e quotidiano: è un modo di esprimermi, di rimettere in ordine le idee.
Restando su questo tema, qual è la genesi tipica delle tue canzoni, se ne hai una? Qual è stata quella di “Nel mio stomaco”?
Ogni canzone è una storia a sé ma solitamente inizia tutto da un’idea di testo, che poi sviluppo insieme alla parte musicale. “Nel mio stomaco” è nata dal bridge e dall’inciso, da quel «Non ho capito perché ci immaginiamo il cuore come il posto perfetto per l’amore» e, di contro, «Nel mio stomaco c’è un posto per te»… Tutto il resto è venuto dopo, per ampliare quell’idea che fosse lo stomaco il centro emotivo del nostro corpo.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Mi fa sempre piacere ricordare sia i nomi di chi ha suonato nel disco, dando un contributo davvero fondamentale, che di chi ha lavorato con me alla copertina, realizzando in concreto una mia idea un po’ strampalata.
I brani sono stati suonati da Toto Giornelli (basso), Edoardo Petretti (piano e tastiere), Luca Guidi (chitarre) e Filippo Schininà (batteria).
La cover invece è un collage digitale di LA TRAM, che solitamente illustra con altre tecniche ma ha assecondato con amicizia il mio pensiero iniziale, su una foto di Claudia Cataldi (The Factory PRD).