– di Martina Zaralli –
Per Alessandro D’Alessandro portare nel presente la tradizione dell’organetto è una sfida. Anche una responsabilità. Ma soprattutto è la conferma della persona e del musicista che è diventato. Un legame, quello con l’organetto, che coltiva da quando ha nove anni perché nella sua Coreno Ausonio «tutti i bambini entrano in contatto con questo strumento» – mi racconta al telefono – e che poi rafforza ogni giorno di più iniziando a suonare «più per una familiarità col suono, che per una velleità artistica». I fatti parlano per lui: entra a far parte dell’Orchestra Bottoni, della quale ne diventa presto coordinatore, è Targa Tenco nel 2017 (miglior album in dialetto) con “Canti, ballate ed ipocondrie d’ammore” (Squilibri) realizzato insieme con Canio Loguercio, è produttore e compositore e collabora con numerosi artisti. A giugno del 2021 arriva il suo esordio discografico da solista, “Canzoni (Per organetto preparato & elettronica)”, nel quale rilegge grandi classici della canzone nazionale e internazionale, spaziando tra Fabrizio De André e Paolo Conte, Pino Daniele e Lucio Battisti, Bob Marley e Gianmaria Testa, Piero Ciampi e Fausto Mesolella. Edito da Squilibri, con un booklet impreziosito dai disegni di Sergio Staino, l’album restituisce all’ascoltatore un nuovo e multiforme racconto dei brani scelti, introdotti dall’unico inedito presente nel lavoro, Tiritera delle canzoni che volano, cantato da Elio e David Riondino. Non sono le uniche due voci presenti nel lavoro di D’Alessandro: passeggiando tra la sedici tracce incontriamo anche quelle di Sergio Cammariere, Joan Manuel Serrat, Neri Marcorè e Sonia Bergamasco, Musica Nuda e Peppe Voltarelli, per citarne alcuni, nonché i suoni di Daniele Sepe, Roberto Angelini, Daniele Di Bonaventura, Arnaldo Vacca, e dell’Orchestra Bottoni. Dico che “Canzoni (Per organetto preparato & elettronica)” è tra i dischi più interessanti del 2021.
Ne parlo solo ora, ma meglio tardi che mai.
Come nasce il disco “Canzoni (Per organetto preparato ed elettronica)”?
Il disco nasce dall’esigenza di testimoniare una ricerca sonora che ho fatto nel tempo con e sul mio strumento, l’organetto. Negli anni, infatti, ho messo a punto un sistema, costituito da oggetti e da una loop station, in grado di restituire un suono molto vicino a quello di una piccola orchestra. Avevo il desiderio di far conoscere il mio organetto con un disco solista, ma mi risultava difficile farlo solamente con brani originali; quindi, ho pensato di farlo con un concept album sulla canzone, da intendere nell’accezione più ampia del termine. L’ho chiamato “Canzoni”, proprio per sottolineare la grandezza del repertorio sul quale poter applicare il mio studio, partendo da temi musicali molto conosciuti.
Hai definito il tuo strumento organetto preparato: che vuol dire?
L’organetto preparato non è nient’altro che una copia di quanto successo già nella musica classica contemporanea: penso ai pianoforti preparati di John Cage, penso alla chitarra sarda preparata di Paolo Angeli. Nel tempo ho aggiunto campanelli, placche di legno, buste di plastica, chiavi della macchina e altri oggetti, che io faccio suonare percuotendo lo strumento, ampliando così le possibilità sonore dell’organetto, trasformandolo in una vera e propria orchestrina ambulante. C’è poi la parte elettronica: gli effetti, che mi aiutano ad ampliare la gamma dei suoni, e le loop station, che mi aiutano per la sezione ritmica e per le armonie, soprattutto quando mi trovo a improvvisare.
Tranne un inedito, i brani che troviamo nel tuo album solista sono tue riletture di canzoni di musica d’autore italiana e di altri Paesi: come hai selezionato le “Canzoni”?
Alcuni dei brani inseriti in “Canzoni” mi erano già stati commissionati per progetti precedenti al disco, altri facevano parte del mio repertorio solistico, brani che avevo reinterpretato nel tempo per mettere a punto il sistema dell’organetto preparato. La scelta è stata molto istintiva: ho selezionato brani che mi piaceva rileggere e sui quali potevo usare al meglio effetti e loop station. L’idea di inserire dei grandi classici è stata invece un po’ cercata, per creare un corto circuito; brani cioè un po’ distanti dal mio passato recente – in termini di musica – ma sui quali sapevo di potermi mettere in gioco.
La tradizione dell’organetto: responsabilità o sfida?
Io la vivo come una sfida, per confermare chi sono. Il mio bagaglio culturale ce l’ho nel sangue: suono uno strumento intriso di una cultura antica, che ha sviluppato una sua importanza soprattutto a livello sociale nei piccoli paesi, tipo il mio, Coreno Ausonio. Mi piace riportare la tradizione del nostro passato in un presente in continua evoluzione, è una sfida infatti stare al passo coi tempi e portare questo strumento in più mondi possibili: ho lavorato nella musica elettronica, contemporanea e nel jazz, scardinando anche quel luogo comune che vuole l’organetto come povero di sfumature espressive. È anche una responsabilità: la musica tradizionale deve essere conservata per evitare che vada perduta, e per farlo è importante che strumenti come l’organetto continuino ad esistere sotto nuove forme. È una responsabilità quella di conservare la tradizione proiettandola nel futuro.
Ora arriviamo all’inedito che apre il disco “Tiritera delle canzoni che volano”: ci racconti qualcosa in più?
La canzone nasce con lo spirito di essere una ouverture per l’intero disco. Volevo un prologo per tutte le connessioni che ci sono nell’album, come per aprire il sipario sul progetto. Mi piaceva l’idea di farlo con brano mio: insieme con David Riondino ci siamo messi al lavoro ed è arrivata “Tiritera delle canzoni che volano”, cantata dallo stesso David Riondino e da Elio, è una canzone parodia che va bene per i bimbi a 0 a 99 anni. Praticamente è una canzone delle canzoni.
Ultimo in ordine di arrivo è il videoclip del pezzo “I giardini di marzo”: che legame hai con le canzoni di Mogol/Battisti?
Sono canzoni che fanno parte della nostra identità. Canzoni pop(olari) che hanno superato gli scogli generazionali. La musica di Battisti mi ha sempre affascinato e continua a farlo per la sua capacità di arrivare diretta alle emozioni di chi ascolta: la semplicità – o l’assenza di tutte quelle complessità di facciata – è una grande talento comunicativo.
Come è andata la promozione live del disco?
Bene. Da quando è uscito il disco, l’11 giugno scorso, ho avuto una grande risposta dal pubblico. Dall’estate fino a novembre ho presentato il disco con una serie di concerti, in contesti molto vari: dalle sale concerto ai festival di letteratura, passando per anche per le rassegne cinematografiche. “Canzoni” è un disco che può essere raccontato in diversi modi. Dovevo essere in Germania – proprio in questo periodo – ma per ovvi motivi legati all’emergenza sanitaria non sono partito. A ogni modo, non mollo: sono al lavoro per un tour nei club italiani in primavera e, perché no, anche per qualche giretto all’estero anche in estate.