-di Assunta Urbano-
I pupilli delle nuove generazioni conoscono i Nirvana per il live targato MTV Unplugged, anche se sappiamo benissimo che il processo dovrebbe essere inverso.
Il 26 novembre scorso, i Negrita, storica band rock italiana, sono entrati nell’Olimpo delle stelle portando alla luce una propria versione del format longevo. Così, il trio formato da Pau (Paolo Bruni), Drigo (Enrico Salvi) e Mac (Cesare Petricich) è sceso in campo con la migliore delle sue formazioni.
L’album è stato registrato nel corso dell’evento dal vivo del 31 luglio 2021, nella splendida cornice dell’Anfiteatro Romano di Arezzo.
Con tante canzoni nel bagaglio personale ed esperienze impresse nella mente, il gruppo è ancora oggi inarrestabile. Abbiamo intervistato la voce dei Negrita, Pau. L’artista ci ha raccontato del progetto e ci ha fatto viaggiare a spasso nel tempo nella storia della musica italiana.
Quasi trenta anni di carriera sono un traguardo importante. Come ci si sente a spegnere queste candeline e a festeggiare tale punto d’arrivo?
Abbiamo festeggiato lo scorso anno venticinque anni, anche se erano ventisette, e adesso siamo entrati nel ventottesimo. Quindi, hai ragione te, siamo più vicini ai trenta che ai venticinque! Abbiamo percorso tanta strada, quasi senza accorgercene. Ricordo che i primi anni ci sembrava che il tempo non passasse mai. Il resto dei decenni sono volati. Il treno era già lanciato, in corsa. Abbiamo vissuto intensamente tutto ciò che ci è capitato: i tour, i dischi, gli incontri, le amicizie. Abbiamo messo nei cassetti delle nostre memorie molte esperienze. Ora sono diventati il nostro background, la nostra cultura e hanno creato un modo nuovo di vedere la musica e la realtà. Sono contento. È ovvio che si rimpianga sempre la gioventù in qualche modo. Quando realizzi un documento come l’“MTV Unplugged”, ti rendi conto di essere entrato in contatto con tanti esseri umani. È una soddisfazione enorme.
Parliamo proprio del vostro “MTV Unplugged”, terzo album dal vivo dei Negrita, pubblicato lo scorso 26 novembre. Qual è il significato di questo tipo di format? Cosa ha rappresentato, invece, MTV nella vostra carriera?
I Negrita appartengono a quella generazione lì. Avevamo l’età giusta quando MTV tirò fuori questo format, in cui i live venivano eseguiti in acustico in studio [i primi furono i Bon Jovi, nel 1989, ndr]. Fu una bellissima novità. Eravamo abituati a vedere sui canali musicali i videoclip, le esibizioni erano delle riprese tradizionali. In questo caso, la patinatura del video veniva meno e ne usciva, invece, la parte sincera di una musica suonata con strumenti come chitarre acustiche. Una rivoluzione che stupì molti, perché non tutti erano contenti di apparire in un videoclip. Ha condizionato l’ascolto della musica da lì in poi. Alcuni MTV Unplugged sono stati più importanti di altri e sono diventati pietre miliari di band. Due su tutti: i Nirvana (nel 1994) ed Eric Clapton (1992).
Dopo anni, quando le reti musicali sono cadute in declino a causa del web, tirare fuori proprio noi questo prodotto, è stato il coronamento di una carriera. Non l’abbiamo fatto negli anni Novanta, ma nei Venti del secolo successivo.
In un certo senso, vi siete catapultati in una nuova dimensione, quella acustica.
Nel 2013, abbiamo fatto un tour teatrale. Ci siamo basati su quell’esperienza che fu abbastanza segnante. Anche lì uscì un album, ma registrato in studio, a differenza di questo lavoro qui. Andammo a Milano da Mauro Pagani, che ha un posto grandissimo e proprio adatto per suonare in tante persone. Ci siamo basati su quello per migliorarci.
Volevamo ripetere quell’esperienza, perché ci ricordavamo l’emozione ogni sera davanti a un pubblico seduto in un ambiente intimo. Noi siamo abituati ai club, ai palasport, alle scene open air da festival, invece questa è stata tutt’altra cosa. Il silenzio si fa sentire eccome, rispetto agli habitat opposti chiassosi, rumorosi. Una cornice come quella dell’Anfiteatro Romano di Arezzo, in cui abbiamo registrato l’album, è un altro clima. Il musicista e il cantante si trovano ad affrontare il pubblico con una cifra stilistica diversa. Bisogna creare un altro tipo di spettacolo. C’è più spazio per l’aneddoto, per il racconto di un testo. Un approccio differente proprio con il microfono e gli strumenti. È come se stessimo suonando nel salotto di casa di qualcuno.
Un nuovo lavoro dei Negrita, “live”. La band potrebbe mai esistere fuori dalla sua dimensione dal vivo?
Se continuiamo così, ho l’impressione di sì [ride, ndr]. Dovremmo adeguarci, perché non sembra riusciremo a tornare ad una situazione normale. Però, no, non credo che i Negrita potranno avere un futuro solo discografico. Non siamo come i Beatles, con una notorietà così impressionante da smettere di esibirci.
Siamo nati, in primis, su un palco e poi abbiamo cominciato a fare musica in studio. Il dna, la natura di questa band è trovarsi di fronte a un pubblico. Lo notiamo spesso durante le prove per i tour, quando arrivano amici e conoscenti. Ci accorgiamo che suoniamo più per loro che per noi. Se abbiamo pubblico, suoniamo meglio. È anche giusto essere arrivati adesso alla dimensione di MTV Unplugged. È il momento più adatto perché siamo a un’età più calma, più placida. Sei più riflessivo come essere umano, come individuo.
Nel progetto sono intervenuti Piero Pelù, Manuel Agnelli e Rkomi, rispettivamente nelle canzoni “El diablo”, “Non è per sempre” e “Rotolando verso sud”. Per quale motivo sono stati scelti proprio questi tre artisti?
Avevamo contattato qualche altro amico, ma non sono potuti venire. In qualche modo i tre fanno parte di generazioni diverse. Quelle di Manuel e di Piero sono vicine alla nostra, anche se in realtà fanno parte di due periodi differenti. E poi c’è Rkomi che è lo sbarbato!
Abbiamo un rapporto stretto con i Litfiba, prima di tutto perché siamo quasi vicini di casa, abitiamo a pochi chilometri di distanza. Li conosciamo più o meno da quando sono nati, nei primi anni Ottanta. Sono stati una delle band che hanno stravolto la musica italiana. Prima di loro c’erano solo cantautori. I primi Litfiba sono stati una vera rivoluzione. La generazione successiva, cioè la mia, che aveva delle aspirazioni musicali diverse dalla tradizione italiana non aveva nessun rappresentante. Quando arrivarono i Litfiba, furono i capiscuola di quello che è diventato il rock italiano e i suoi derivati. Sono stati dei padrini.
Manuel è un amico e un collega che ha fatto una carriera parallela alla nostra. Gli Afterhours sono coetanei dei Negrita e di tante altre band. Volevamo creare uno scambio, per questo abbiamo suonato un loro pezzo che ci è sempre piaciuto e che avremmo voluto magari scrivere noi. Poi, non è finito sull’“MTV Unplugged”, ma nel disco integrale sì. Abbiamo fatto una cover di “Sympathy for the devil” dei Rolling Stones, che è una band che amiamo entrambi.
Invece, Rkomi ci è stato proposto dalla Universal. Si trovava in un periodo in cui usciva dalle sonorità che l’hanno visto nascere e cominciava ad avere un interesse per la musica suonata. Questa frase ci ha fatto venire voglia di conoscere e far collaborare due gradazioni abbastanza distanti tra di loro, sia anagraficamente che stilisticamente. È stato un bell’incontro con Mirko. Non è potuto venire ad Arezzo, quindi con lui abbiamo registrato al Castello Sforzesco di Milano. Abbiamo festeggiato tre epoche.
In tanti anni di esperienze, avete vissuto sulla vostra pelle diversi cambiamenti del panorama musicale italiano. C’è un periodo, un momento storico in cui fare musica era la cosa più bella in assoluto?
Quello che abbiamo preferito è stato il nostro decennio e il periodo immediatamente successivo. Da band, da ragazzi di provincia, con i Negrita siamo riusciti a viaggiare per il mondo e a esprimerci con la musica. Il tutto facendo parte di una generazione che ne ha prodotta di splendida. Ne parlavo con Caparezza un paio di mesi fa. È nato negli anni Novanta un fenomeno musicale trasversale che è volato sopra tutta la Penisola. Questo ha creato tantissimi generi diversi in una maniera che mai prima si era vista, con un atteggiamento molto underground. Siamo partiti dal basso, abbiamo fatto le ossa con la gavetta nei club. Abbiamo conosciuto migliaia di persone con i nostri stessi interessi, che magari non suonavano in una band, ma avevano il coraggio di mettere su un festival, di aprire un locale.
La musica negli anni Novanta è servita a creare un movimento innanzitutto e a dare un motivo di vita a ragazzi che probabilmente non l’avrebbero avuto. Una generazione che ha parlato alla sua generazione e che ancora ha degli “strascichi”, ha lasciato una grossa influenza nei coetanei e in chi è arrivato dopo. Vedi i Modena City Ramblers, i Subsonica e proprio gli Afterhours. Non a caso sei finita a intervistare me, che faccio parte di una band degli anni Novanta.
Mi rendo conto che ai nostri concerti non ci sono più nel pubblico quelli della mia età, perché forse hanno svitato il piede con l’anfibio e hanno avvitato quello con la pantofola! Ci sono gli attuali trentenni o quarantenni, che sono in pieno vigore fisico. È bellissimo, da più che cinquantenne, ritrovarsi gente che ha quindici, venti e anche più, anni in meno. Ti fa effetto come le prime volte, perché c’è anche un carico di responsabilità. Devi parlare a persone più giovani e ti fa rendere conto che hai seminato bene.
Com’è questo mondo musicale comparato a quello di oggi?
Sono due cose diametralmente opposte. Dato che non c’era nulla simile a quello che volevamo fare noi, all’inizio siamo stati quasi degli artigiani, più che artisti. Con i Negrita abbiamo costruito un habitat che non esisteva. Avevamo un’attitudine molto veritiera. Andavamo su un palco a raccontarci. Tutto quello che ti arrivava in faccia aveva uno stile poco artefatto, piuttosto crudo. Strumenti collegati e musica “vomitata” in platea.
I ragazzi di adesso si sono ritrovati in un’era completamente diversa. Di mezzo c’è stata la rivoluzione digitale. Noi abbiamo conosciuto i primi computer per registrare, non per suonare. Molti oggi ci sono nati. Ora ci si può permettere di fare musica in cameretta con pochi spicci.
La musica non ha più quel quid vero, non viene più dallo stomaco, non sa più di umanità. Si sono creati generi musicali anche affascinanti, ma dopo un po’ a me rompono le scatole. Sono tutti simili. I ragazzi sono diventati spesso anche produttori, ufficio stampa ed etichetta discografica di se stessi. Questa è una nota di merito.
Però, alla fine mi sembra che con l’arrivo dei trend si sia inquinato tutto. I media si lasciano affascinare più da quell’alone di successo di streaming, download, che dalla effettiva qualità artistica del musicista. Sono due generazioni inconfrontabili.
Nessuna domanda sul futuro, ma l’augurio di vederci presto a un concerto dei Negrita.
L’augurio è ovvio che ci sia, ma io mi sono anche un po’ rotto le balle. In questo momento sono una iena verso chi dovrebbe gestire questa situazione del mondo dello spettacolo. Siamo considerati niente, questa cosa è molto umiliante come uomo professionale, perché faccio parte di una categoria lavorativa che non è considerata seria. La colpa è da dividere anche con il mio settore, perché non siamo mai stati in grado di fare unione, corpo unico. Né avere dei rappresentanti che possano farsi sentire.
Hai telefonato a uno degli anni Novanta, quindi ti becchi la verità in faccia.