– di Martina Rossato –
Come è stato il lavoro con Saverio Lanza? Come vi siete coordinati?
Siamo partiti dalle parole, a cui abbiamo aggiunto la parte musicale. Di solito, tendo ad avere lo scheletro del testo per poi lavorare sulla musica, ovviamente non è sempre così, a volte parto da un’idea melodica. In questo caso siamo partiti proprio dal testo, ma siccome ci ho messo un po’ per capire di cosa volevo parlare, ho mandato a Saverio soltanto piccole frasi, di due o tre parole, che ancora non avevano agganciato la canzone completa. Saverio ha cominciato a costruirci intorno la parte sonora e il risultato è che in questo disco ci sono molti dettagli che cambiano, anche all’interno delle stesse canzoni.
È un modo di lavorare interessante, cosa cambia rispetto a prima?
Questo modo di lavorare crea delle variazioni notevoli e se paragonata ai parametri del pop classico, questa può essere una difficoltà per l’ascoltatore. In Italia non siamo abituati ad ascoltare qualcosa di diverso nella musica cantautorale; con questo non voglio certo dire che il mio album sia sperimentale, però ci sono elementi che vanno al di là dei canoni classici del pop radiofonico.
Da una parte c’è quel pop radiofonico, che comprende anche qualche artista molto interessante, ma che rientra comunque nei parametri “tradizionali”; poi c’è tutto il resto, tutto quello che fa parte della musica “indipendente” o “alternativa”, anche se sono termini che non mi piacciono. Mi riferisco a quel bacino di artisti che gestiscono la musica con audacia, in modo più libero e ricco. Quando parlo di questo bacino penso a personalità come Iosonouncane o Emma Nolde, che ho scoperto da poco e mi piace tantissimo.
Ho trovato il tuo disco molto personale e libero. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?
È un rapporto di amore, nella scrittura, come dicevo prima, vedo una possibilità di ordine e chiarezza. Sono molto caotica quando scrivo: a volte scrivo sulla lista della spesa, a volte sui miei taccuini. Ho moltissimi quadernetti, sono oggetti che amo: magari ne comincio uno, poi un altro, senza una logica. Questo per darti un’idea della gratificazione che mi dà poi riuscire, attraverso il processo creativo e di ricerca, a riordinare i pensieri. La scrittura, come la musica, è salvifica per me.
Ma poi i tuoi testi sono delle vere e proprie poesie.
Be’, intanto grazie! La poesia come linguaggio mi ha sempre affascinata, a partire dalle poetesse. Parlo al femminile perché mi sono resa conto che attorno a me ci sono più donne che uomini in poesia, anche se il primo libro di poesie che mi ha cambiato la vita è “La pianura dentro”. È di un caro amico che purtroppo è scomparso, Claudio Galuzzi. Leggendo quelle poesie mi è venuta voglia di cantarne le parole, tra l’altro è vero che vivo in montagna da più metà della mia vita, ma sono cresciuta in pianura, quindi è un’immagine che sento appartenermi. Giusto per citarti qualche poetessa, Anna Toscano, Mariangela Gualtieri, poi la Szymborska e Alda Merini. La poesia come forma di scrittura mi è sicuramente più congegnale.
E il tuo rapporto con la lettura?
Quello con la lettura, è un rapporto strano. Non ho mai fatto i test, ma penso proprio di essere dislessica. Ho una capacità di concentrazione molto scarsa, anche per questo le poesie mi sono più congegnali. Di solito sono più concentrate. Mi piace tantissimo leggere comunque, lo vedo come un nutrimento personale che poi influenza anche la scrittura delle canzoni.
Tornando alla musica, oltre a cantautrice sei una grandissima interprete. Che differenze trovi tra le due cose?
Come dicevo, ho cominciato a scrivere tardi, verso i ventitré anni. Non pensavo di poter fare questo mestiere, soprattutto in un Paese in cui la figura femminile non si è imposta in musica. Mi sono sempre chiesta come mai, nonostante la mia passione, io non abbia mai dato molto credito al poter fare questo come mestiere. Forse pensavo di non riuscire a scrivere in italiano. Tutto ciò per dire che ho fatto una lunga gavetta come interprete, utilizzando per tanto tempo le canzoni di altri quasi come fossero mie. A un certo punto però ho voluto raccontarmi con parole mie: le mie parole risuonano dentro di me in una maniera diversa, hanno un peso diverso. Sono punti di vista differenti, cantare canzoni di altri dà la possibilità di scoprire aspetti diversi di sé, scopri anche di poter stare dentro una modalità nuova che magari contamina anche il tuo percorso.