– di Giacomo Daneluzzo –
UNA PICCOLA (e non richiesta) PREMESSA
La mia politica negli articoli è sempre stata quella di rispettare la grafia scelta dall’artista per i titoli di canzoni e album. Sono scritti, su Spotify, tutti in minuscolo? Benissimo, manterrò questa grafia. Hanno alcune iniziali maiuscole? Se non ho motivo di pensare che sia un errore di battitura, manterrò quella grafia. Tutto in CAPS LOCK? Stesso discorso. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un moltiplicarsi delle “grafie strane”: un esempio su tutti è tha Supreme, che ha pubblicato un album intitolato “23 6451” (da leggersi: «Le basi» in leet) in cui le tracce hanno titoli come “5olo”, “oh 9od”, “blun7 a swishland” e via dicendo. Ma oltre a quest’estremo gli album in tutto minuscolo e tutto minuscolo non mancano. Ecco, quello di cui vi parlo è un album il cui titolo – e quello di ogni traccia – appare completamente in maiuscolo, ma non solo: anche l’autore si presenta in maiuscolo: “MOBRICI”.
Un po’ di tempo fa ho scritto una recensione dell’ultimo disco di Salmo, “FLOP”, un altro album scritto interamente in maiuscolo, e ho fatto la faticaccia di mantenere i titoli scritti in questo modo, con la conseguenza di un effetto estetico che, a dirla tutta, non mi piace molto. Però in questo caso, visto che sulla pagina Facebook dell’artista il nome è scritto “Mobrici”, con solo l’iniziale maiuscola, e visto che i singoli estratti dall’album erano anch’essi scritti con la sola iniziale maiuscola, ho deciso di mantenere una grafia convenzionale, in cui solo l’iniziale è maiuscola, che trovo decisamente più bella e ordinata. Spero che nessuno si offenda. Buona lettura!
ANCHE I GRUPPI MIGLIORI SI SCIOLGONO CON GLI ANNI
È il 2021 e dall’esperienza con i Canova, ormai, è passato un po’ di tempo. Eppure il progetto solista di Matteo Mobrici si pone in perfetta continuità con i dischi e i singoli di uno dei gruppi che ha fatto la storia dell’indie/itpop e in generale del cantautorato italiano di oggi: “Anche le scimmie cadono dagli alberi”, questo è il titolo scelto per l’album, uscito per Maciste Dischi e Virgin Records, è un disco che forse non suona particolarmente “nuovo”, ma che d’altra parte si mostra decisamente più maturo e “sicuro” rispetto alla produzione dei Canova, pur restando fedele all’identità artistica di Mobrici, che abbiamo imparato a conoscere e ad amare (almeno io e gli altri fan dei Canova) negli anni attraverso dischi come “Avete ragione tutti” e “Vivi per sempre” (prima) e con i vari singoli che hanno anticipato l’uscita di quest’album.
Ma “Anche le scimmie cadono dagli alberi” non si ferma a questo, una mera prosecuzione dell’operato dei Canova, che, possiamo dire, sarebbe stata la scelta più facile, in quanto si trattava di una formula vincente già consolidata. Matteo Mobrici sceglie di prendere una direzione diversa, più pop, leggermente più elettronica. È una strada lineare, rispetto al periodo Canova, ma che devia su certe cose. Anche perché, altrimenti, che bisogno ci sarebbe stato di quest’album? Mobrici riesce nell’impresa, non facilissima, di restare coerente a se stesso ma evolvendosi; e lo fa anche grazie a una produzione che forse non osa molto, in termini di originalità, ma sicuramente ben riuscita, realizzata a quattro mani dall’artista stesso insieme al noto produttore Antonio Filippelli (Levante, Marika Ayane, Eros Ramazzotti…).
MATTEO MOBRICI, CANTAUTORE
Neanche a dirlo, “Anche le scimmie cadono dagli alberi” si potrebbe definire un concept album su Mobrici stesso, che, parlando di vari temi che possiamo definire cardine della sua lirica (amore, tempo, depressione…), definisce in modo piuttosto chiaro anche che cosa significa, oggi, essere un cantautore in Italia. Forse con un po’ di romanticismo, con un po’ di idealizzazione di questa figura, quella del cantautore romantico e maledetto, ma anche con una consapevolezza che non può che colpire nel segno; dopotutto è stato proprio lui, quando l’ho intervistato qualche mese fa, a parlarmi di come la “rivoluzione dell’indie” sia stata portata avanti da un movimento “adulto”, non da diciottenni, che con una certa coscienza ha ridefinito gli standard compositivi e lirici del cantautorato e del pop in Italia, aprendo la strada anche alle nuove generazioni, quelle che, per dire, oggi emergono con nuove idee, nuove sonorità e nuovi modi di scrivere. E se prima, da frontman di un gruppo, definirsi “cantautore” – per quanto sì, lo fosse – poteva apparire qualcosa di, forse, pretenzioso (dopotutto un gruppo è o dovrebbe essere un progetto corale, non di un singolo), con la pubblicazione di un disco solista Mobrici può finalmente definirsi a buon diritto un cantautore. E non solo: può addirittura diventare il cantautore-tipo, il modello della figura del cantautore italiano di oggi.
“Anche le scimmie cadono dagli alberi” è già di per sé un disco piuttosto paradigmatico, per così dire: per l’appunto “Cantautore” è una sorta di manifesto programmatico del disco e, più in generale, della poetica di Mobrici: «Esco a farmi un giro / Guardo le nuvole nel cielo / Le anatre nel lago del parco vicino / E mi sento un bambino / Che vede, che sente più forte degli altri / Ma tu che ne sai di una vita passata / A pensare al passato, alle cose già morte / Sepolte in un campo di grano / E i pensieri che ti bussano su / E ti tirano giù?», strofa con cui riassume la sensibilità del cantautore, la sua capacità di osservare il mondo, di “sentire più forte degli altri”, e al contempo la sua fragilità, il suo costante bilico tra un equilibrio precario e il rischio di “cadere”, anche solo pensando, nel baratro della depressione. E il ritornello, semplicemente, afferma: «Io sono un cantautore / Vivo nel dolore / Ai margini della città», delineando in poche parole quella che potremmo intendere come la figura-tipo del cantautore. Non è più il cantautore “politico” degli anni Settanta, ma, se vogliamo, un artista tormentato di questi tempi, che per via della sua sensibilità fuori dal comune non può che vivere ai margini della società, in solitudine (tema raccontato piacevolmente in “Tassisti della notte”), ed esprimersi attraverso l’arte.
L’AMORE FINISCE – E VA BENE COSÌ
Infine il nostro cantastorie non può che cantare l’amore, nelle sue mille sfaccettature. Sono amori sfortunati, di solito, quelli raccontati da Mobrici: quelli di “Canale 5” e “Anna Meraviglia” sono solo alcuni esempi di testi molto forti, in merito all’amore, che è narrato come qualcosa di meraviglioso, capace di dare senso alla vita ma anche che facilmente porta dolore a chi ne partecipa. L’accettazione del fatto che le cose, purtroppo o per fortuna, finiscono, però, arriva sempre. Si parla, in questo disco, di come la fine delle storie d’amore sia un passaggio della vita faticoso, importante e, probabilmente, inevitabile nella maggior parte dei casi, ma non in un’ottica prettamente negativa.
Ci sono degli echi di alcuni testi della “vita precedente” di Mobrici, come “Vita sociale”: «Cambiare sentimento è importante, ti rende scemo e meno ignorante», ma il tema è affrontato in modo più pregnante, in “Anche le scimmie cadono dagli alberi”, con la lucidità di un artista che, pur “sentendo” più degli altri, riesce finalmente a darsi pace e ad accettare le cose per come sono. “La fine” è una canzone molto bella e poetica che tratta sì dell’amore, ma ancora di più della condizione esistenziale del suo autore, qualcosa che va anche oltre l’amore: «Da solo, con i miei pensieri e le mie paturnie / Dicono che chi nasce così poi rimane così / E poi, e poi, e poi, se ti va male, ci muori anche, così». Si tratta di una traccia emblematica, che descrive bene l’album intero e il suo autore. “Anche le scimmie cadono dagli alberi” non è un album allegro, ok, ma è un album più sereno e contemplativo di quanto forse ci saremmo potuti aspettare dalle premesse. Un album destinato a restare nella memoria dei fan di Mobrici, dei Canova e anche di chi si avvicina per la prima volta a quest’autore.