– di Giuditta Granatelli –
La prima volta che ho ascoltato “La fine della festa”, primo EP del duo lucchese Cécile, uscito il 17 settembre 2021, non mi è piaciuto. Simile a tutti gli altri che in questo periodo “ci provano”, mi sono detta: sound che pretende di essere suggestivo, testi che altro non sono se non un insieme di parole apparentemente scelte proprio a caso, rimescolate nella speranza di innescare un qualche tipo di sensibilità, in realtà superficiale e di facciata, nell’annoiata ascoltatrice o nell’annoiato ascoltatore in questione. La seconda volta che l’ho risentito, però, ero in uno stato d’animo diverso. Non più di corsa per andare in università, innervosita e arrabbiata con il mondo, così poco interessante e così poco rassicurante, e dunque scettica, nei confronti di questo nuovo gruppo.
Ero più che altro triste, ma soprattutto disposta ad aprirmi a qualsiasi cosa desse una svolta al corso dei miei pensieri. E mi sono resa conto invece funzionano i Cécile, ossia Tommaso Mori e Stefano Sestani, classe ‘97 e ‘98. E questo non perché io sia così volubile da cambiare idea completamente in base al mio stato d’animo, quanto piuttosto perché solo sulla base di un’apertura mentale ed emotiva si riescono ad ascoltare davvero a trecentosessanta gradi brani come “Primo notturno” e “Valérie”.
E non solo ad ascoltarli, approfondendo, ma anche a creare un’esperienza singolare, a tratti malinconica a tratti incoraggiante. Risalta l’esortazione a una filosofia di vita un po’ flaneur, un po’ decadente, ma senza alcun distacco d’impronta nichilista o anche solo svogliata. Molto presente è infatti, allo stesso tempo, l’idea della voglia di riprendersi, continuare, evolversi senza tralasciare però la propria sensibilità, i propri ricordi. L’accettare, tra disillusioni e sigarette lasciate a metà, che la festa è finita, ma il rendersi conto che sicuramente ne seguirà un’altra.
Un altro punto a favore dei Cécile è, tra l’altro, la loro capacità di creare testi non interpretabili sulla base delle proprie esperienze e scelte di vita: «Giugno è perso ormai, nascosto dal vostro rumore / E non esiste altro modo per dipingervi un’idea se non morire / Se non morire» (da “Scogli”).
Insomma, mi sembravano banali, invece fanno della strana poesia. Così concludo, dunque, questa recensione, che vuol essere non solo un invito ad ascoltare questo duo, seppur imperfetto, promettente, ma anche ad approfondire l’arte dei giovani emergenti senza etichettarli subito come ripetitivi o superficiali a prescindere.