– di Giacomo Daneluzzo –
“Sottovuoto” è il nuovo singolo di Giorgia Christine Groccia, in arte Caffellatte, uscito lo scorso giugno ed estratto da Litigare, l’album d’esordio, di prossima uscita, della cantautrice pugliese di origine ma romana d’adozione, che si concentrerà sul concetto del litigio, inteso nelle sue varie accezioni.
Le abbiamo fatto qualche domanda per approfondire il significato di “Sottovuoto” e per parlare del suo percorso artistico, ricco di nuovi progetti e di tantissime idee, frutto della creatività instancabile e coloratissima di Giorgia.
Ciao Giorgia! Come ti stai vivendo l’uscita di “Sottovuoto”?
Direi bene! Si tratta di una delle canzoni a cui tengo di più, quindi c’è anche un po’ d’ansia. È una delle mie preferite e avevo anche paura, prima della release. Poi in realtà è stata anche una release fortunatissima, sia dal punto di vista editoriale e di Spotify sia dal punto di vista dei feedback delle persone che l’hanno ascoltata, sia dal punto di vista del live. Sono molto contenta del risultato finale.
Penso che tra i tuoi singoli sia anche il mio preferito, ma a parte questo a che cos’è dovuta quest’affezione speciale per “Sottovuoto”? Come mai sei così legata a questo pezzo?
Il brano è nato in due fasi diversi. La maggior parte del testo è nato di getto, è stato un fiume di cose scritte nelle note del mio iPhone e che non sono proprio state modificate: è tale e quale alla prima versione. Invece la prima parte, prima che attacchi la batteria, è una cosa che avevo scritto anni fa, in un momento particolare. Essendosi divisa in queste due parti, un po’ per il tema trattato, che mi appartiene al 100%, un po’ per questa prima parte del brano, che doveva essere una canzone ma che non ha mai avuto una vera e propria nascita, è diventata una delle mie canzoni preferite. Anche la prima parte era una specie di poesia priva di musica. Quando l’ho musicata, senza modificare il testo di una virgola, il risultato mi piaceva molto, anche senza mettere mano. Le mie canzoni vengono modificate più volte, cesellate per ottenere il risultato migliore. In questo caso non è andata così e mi piace molto.
La scrittura “di getto” ha sicuramente dei punti di forza, forse legati all’immediatezza di comunicazione, ma anche dei contro. Che cosa pensi di questa modalità di scrittura.
Io penso che, in generale, le canzoni vadano sempre rimodellate. Non sono una grande fan della scrittura “di getto”. Il brano va rielaborato perché lo si possa rendere prezioso. Non farlo è come avere un diamante grezzo e lasciarlo… grezzo. Però può capitare che qualcosa venga così, al primo colpo; non si può però sperare che sia sempre così. Una canzone scritta di getto può venire bella e musicale, con le altre molto probabilmente non otterrai lo stesso risultato.
Come s’inserisce “Sottovuoto” all’interno di Litigare, il tuo album di prossima uscita, che tempo fa mi avevi detto che ha in sé una sorta di binomio, di armonia di contrasti?
Ho suonato la title track, “Litigare”, in live lo scorso 29 giugno all’Eur Social Park di Roma. Ho voluto farlo perché unisce tutte le altre canzoni del disco. Il litigio è ciò che unisce i vari testi. Nessun brano, a dire la verità, è troppo pacifico. I litigi di cui parlo sono di varia natura; c’è il litigio sentimentale e affettivo – amici e famiglia – ma anche il litigio con la propria terra d’origine: in un brano affronto il distacco definitivo con il mio Sud, la mia Puglia. C’è anche una canzone sull’amore tossico e intendo eviscerare il Litigare nelle sue varie sfaccettature, ma il minimo comune multiplo resta sempre il litigio con se stessi, di cui si parla anche in “Sottovuoto”. Penso che i litigi peggiori che la maggior parte delle persone affronta siano quelli con la propria persona. Quindi credo che anche i brani che sono già usciti raccontino un dissidio interiore, più che un litigio con l’esterno.
È interessante il tema del litigio con le proprie radici. Non conosco il rapporto che hai con la tua terra natia: che cosa ti porti appresso, oltre agli elementi di conflittualità, dalla Puglia?
In realtà a livello personale mi porto dietro una valanga di ricordi, com’è ovvio che sia, molti dei quali non troppo piacevoli. Sicuramente mi porto dietro anche un senso d’inadeguatezza, che non è mai visto molto dall’esterno: non sono mai stata una persona isolata o inadeguata, agli occhi degli altri, ma si tratta della mia percezione. Ci sono anche delle mie “colpe” in questo, non sono mai riuscita a esprimere il mio disagio interiore. Mi porto dietro, però, anche tante cose belle, tra cui il mare e la mia famiglia; ma in generale il Sud è un posto bello, da amare. Ma anche da odiare. Ancora oggi non ho un quadro definitivo di che cosa significhi per me la mia terra d’origine. Sicuramente le origini non vanno mai dimenticate, però è stato necessario, ai fini dei miei desideri e dei miei obiettivi di vita, andare via. Non potrò mai negare che ho dovuto prendere la valigia e andarmene, da sola, in una nuova città, lontana da casa e senza nessuno; ma lo rifarei un miliardo di volte, sempre.
Hai fatto questo live di presentazione il 29 giugno all’Eur Social Park. Com’è andata?
Non suonavo da tantissimo, da gennaio 2020, a causa del Covid. Questa data del 29 giugno ha superato ogni aspettativa mia e dei miei musicisti Leonardo Russotto e Matteo Bussotti, che hanno suonato con me. C’era tantissima gente, il live è andato bene ed ero stra-rilassata, non c’era un minimo di ansia, di tensione. Prima di suonare non mi sarei mai permessa di dire: «Andrà tutto liscio». Però avevo il sentore che sarebbe stata così ed è andato davvero tutto liscio. È stato probabilmente il live più bello delle nostre vite. Non vedo l’ora di fare nuove date invernali, con l’uscita dell’album. C’era una bellissima energia.
Hai in mente di focalizzarti di più su questa parte del progetto, la dimensione live, oppure tu, che sei sempre dietro ai tuoi mille lavori [Caffellatte attualmente lavora come cantautrice, scrittrice attrice, speaker radiofonica, ufficio stampa social media manager, ndr] e pensi di continuare su questa linea?
Sicuramente sono fortunata perché i miei “altri lavori” sono tutti in ambito musicale, quindi è perfetto per me, perché posso vivere e respirare la musica “accaventiquattro”, non-stop. Al massimo mi prendo una giornata di isolamento dal mondo, ogni tanto. Per quanto riguarda la questione dei live io la gavetta, suonando in giro, ovunque fosse possibile, l’ha fatta. Lo facevo in Puglia e l’ho fatto quando sono arrivata a Roma. Però adesso il mio progetto ha una forma definita ed è importante contestualizzare anche l’aspetto live. Quindi io suono quando effettivamente ho qualcosa da dire, qualcosa di nuovo da far ascoltare; poi che sia un evento, una festa o altro, per me il live significa regalare alle persone che vengono a sentirmi tutto quello che ho fatto fino a quel momento. Quest’inverno sicuramente ci saranno delle date in giro per l’Italia, ma non suonerò prima di quel momento, perché intendo progettare per la dimensione live un percorso, esattamente come per la parte in studio. È una cosa importante, per me, forse perché sono Capricorno [ride, ndr]. O forse semplicemente perché sono una maniaca del controllo. Per me è davvero fondamentale che tutto sia curato nei minimi dettagli. Soprattutto io voglio che i brani in live siano suonati da musicisti, non con le basi sotto, ma neanche in acustico, perché è elettronica. Voglio rimandare al pubblico quello che io davvero faccio, non una versione scarna, dimezzata, dei brani in studio. Un live deve avere un vestito e una struttura da consegnare al pubblico, con dietro una scelta artistica.
Con le domande ho finito. Vuoi aggiungere qualcosa?
Mi hai chiesto cose molto importanti, ti ringrazio per le domande attente e puntuali.
Grazie mille del complimento e buon proseguimento dei tuoi progetti! Ciao!
Grazie a te, un abbraccio!