Chi si era finora perso I Cani ha comunque la sfiga di non aver vissuto quel primo “sorprendente album d’esordio” che, a dispetto del titolo evidentemente autoironico, ha veramente costituito un “caso musicale” a tutti gli effetti, grazie a perle quali “Velleità” e “I pariolini di diciott’anni”: tuttora irrinunciabili. Nonostante le attese deluse del primo nuovo singolo “Non c’è niente di twee”, ho imparato grazie all’insistenza di qualche collega molesto ad apprezzare anche questo nuovo Glamour, che è forse meno immediato del suo predecessore ma alla lunga, per quella che è la mia esperienza, riemerge tronfio a dispetto dell’insipidezza iniziale.
Ricordo che ero già pronto a far mie le considerazioni di chi, non senza ragione, riteneva che la rovina de I Cani fosse quella di aver imparato a suonare: la particolarità di questa nuova uscita sta invece proprio in un’impercettibile ma decisiva cura del dettaglio, che toglie forse al tutto il sapore sporco dei sottoboschi romani ma gli dà in compenso una nuova credibilità. Non fosse per il timore (e l’onore) di finire io stesso nella prossima canzone di Niccolò Contessa e soci, direi (e lo dico) che l’incontinenza di una volta ha lasciato spazio alla riflessione intimista, agrodolce: come se la scelta, magari inconsapevole, sia stata quella di ripiegarsi un po’ su se stessi anziché dirigere esclusivamente all’esterno il fuoco di fila della loro musica. Un prodotto che, come il precedente, è fortemente identificativo e “marchiato” quanto poco eterogeneo al suo stesso interno: non che debba essere necessariamente il primo dei pregi ma neanche l’ultimo dei difetti.
Per quanto sia evidente la bellezza e la genuinità di brani quali “Come Vera Nabokov”, “Storia di un impiegato” e “Storia di un artista”, permane un po’ questa costante sensazione di “già sentito” che fa venir voglia, spesso e volentieri, di aprire le finestre e cambiare aria.
E credo sia anche inevitabilmente irrimediabile per una band, anzi un progetto smaccatamente personale, che nulla si sarebbe aspettato di quello che – da due anni a questa parte – le è capitato tra testa e collo.
Una scrittura comunque intelligente, coadiuvata anche stavolta da scelte sonore ficcanti e quanto mai azzeccate, per un album che non segna decisamente un passo in avanti quanto piuttosto un consolidamento della posizione meritatamente acquisita da I Cani.
Chapeau.
Valerio Cesari
(RadioRock/L’Urlo/Il Fatto Quotidiano)
Ho scelto Glamour come “oggetto mantra” per un laboratorio di strategia comunicativa e mi hanno obbligato a lasciare un commento 🙂
Ho scelto Glamour come oggetto mantra per un laboratorio e devo lasciare un commento:)