– di Assunta Urbano
foto di Juri Ronzoni –
Gold Mass, al secolo Emanuela Liganò, è una cantautrice italiana dal respiro internazionale, in grado di mescolare atmosfere dark ad immaginari elettronici con una grande semplicità.
Il 14 giugno 2019 pubblica il disco d’esordio Transitions, prodotto da Paul Savage, che nel corso della sua carriera ha lavorato con artisti del calibro di Franz Ferdinand e Mogwai. Il 18 giugno 2021 esce l’EP Safe, costituito da quattro pezzi, che indagano sull’essere umano.
In attesa di assistere al live di Gold Mass il 21 agosto, sul palco del Siren Festival, ci siamo fatti raccontare il progetto dall’artista in prima persona.
Dopo un periodo di buio, quest’estate 2021 siamo tornati ai live, finalmente. Come è stato l’impatto con il pubblico nelle precedenti date? Che aspettative hai, invece, per la tappa del Siren Festival di sabato 21 agosto?
L’impatto è stato fortissimo, ho sentito una bellissima energia, l’attesa era tanta sia da parte degli artisti che da parte del pubblico, così come dei tecnici che gravitano attorno ad una performance. Ho proprio avvertito la valenza di quello che si fa quando si suona dal vivo: al di là di chi si sta esibendo, l’importanza è nel gesto, nel rito del ritrovarsi insieme in un luogo, tra amici e tra sconosciuti, ognuno con la propria storia, e lasciarsi andare totalmente alle emozioni, rinnovando quell’incanto che solo la cerimonia di un live può portare. Un concerto è una vera e propria cerimonia, cui tutti concorrono a celebrare con i propri gesti preparativi e con l’attesa. Quello che ci ha tolto il periodo di buio dovuto alla pandemia, è molto di più che ascoltare musica, è qualcosa che difficilmente spieghiamo tramite parole, ma sentiamo e riconosciamo perfettamente quando partecipiamo di nuovo ad un concerto. Il Siren, in tutto questo, è un’incredibile gemma che mi è capitata per la via. Sono onorata di essere nella line-up di un festival così speciale e non vedo l’ora di incontrare il pubblico e conoscere gli altri artisti.
Oltre alle esibizioni italiane estive, ci saranno anche due concerti internazionali, uno l’11 agosto all’ArtWife Festival in Slovacchia, l’altro il 17 settembre al Future Echoes in Svezia. Che differenza c’è, secondo te, tra i live in Italia e quelli in altri paesi europei?
I live ai festival europei danno l’imperdibile opportunità di aprire la mente e spaziare in tutta quella che è la proposta internazionale, aiutano a considerare la propria realtà in un contesto più ampio e quindi anche meno autocelebrativo. Chiunque abbia suonato all’estero conosce benissimo la qualità che si trova negli altri paesi ed entrare in contatto con questo obbliga a un rigore più onesto quando si è al punto di giudicare la propria produzione. Per me questo aspetto è imprescindibile, soprattutto perché la musica, come molti altri aspetti della realtà, è totalmente globalizzata, i generi musicali che proponiamo, spesso non sono nemmeno autoctoni, per cui ha poco senso muoversi con il paraocchio e assicurarsi di essere bravi solo nel proprio cortile. Per quanto riguarda il pubblico, invece, non ho trovato alcuna differenza. Ci sono persone attente alla musica, che vengono ad ascoltare un artista a cuore aperto e ci sono persone poco interessate. Ma questo vale sia per l’Italia che per l’estero, non ho mai creduto a una diversa concentrazione di virtù basata sulla geografia, piuttosto credo sia il risultato di una crescita del tutto personale. Approfitto di questo spazio per segnalare l’ArtWife in Slovacchia, un festival femminista, unico in tutta la nazione. L’edizione di quest’anno è dedicata a Virginia Woolf e al suo libro Una stanza tutta per sé che, per una bella coincidenza, ho finito di leggere giusto qualche giorno fa e consiglio a tutti. Quando mi è arrivato l’invito a partecipare al festival, non mi sono curata di guardare quanto fosse difficile raggiungere il posto, né tantomeno se è considerato prestigioso o meno. Ci sono cose che si fanno per identità, per scelta. E magari sono quelle più importanti.
Il festival che ti vedrà salire sul palco della cittadina abruzzese si pone tra le tante mission anche il sostegno della parità di genere sia on stage che dietro le quinte. Pensi che nel panorama musicale sia frequente questo tipo di modo di pensare? C’è sempre spazio per le donne nel mondo dell’arte e, in particolar modo, della musica?
Sono i numeri stessi a parlare. Per ogni evento, presente o passato, sono i numeri gli unici testimoni dell’enorme gap di genere che esiste e della strada che occorre fare per garantire la parità. A qualunque argomentazione che neghi questo, si deve opporre l’evidenza dei numeri. Il resto sono tutte chiacchiere che personalmente mi sono anche stancata di ascoltare. Occorrono una pazienza e una lucidità enormi per spiegare la strada che ci ha portato a questa aberrazione di genere (ed il libro della Woolf è un faro in questo). Servirebbe una illuminata onestà e capacità di ascolto da parte di quanti finora hanno beneficiato, tra l’altro in modo miope, di tale aberrazione, per riuscire a colmare il gap. Finché non è chiaro a tutti che questo sbilanciamento è un danno enorme per l’intera comunità, non sarà possibile uscire dalla dinamica della dicotomia di genere. Deve essere chiaro a tutti che privarsi dell’ingegno, della creatività, delle capacità proprie di una parte di popolazione è una perdita che non ci possiamo permettere in nessun campo e in nessun momento.
Nessuno può dire oggi quale sarebbe l’esperienza del genere umano se avessimo goduto dell’apporto di tutti, e dico tutti i cervelli e tutti i cuori che sono apparsi sulla Terra. Ed è qualcosa che personalmente mi mette i brividi.
Quando ho ricevuto l’invito al Siren e ho preso visione della line-up, è stato evidente capire che è stata presa una decisione netta nei confronti della questione del gender gap. Mi sono emozionata tantissimo perché ho sentito distintamente di star facendo parte di un cambio di passo fondamentale e questo, per me, mette totalmente in ombra il beneficio che può avere il mio progetto musicale partecipando al festival. Ci sono cose più importanti del proprio ego. Il Siren sta consapevolmente rovesciando un tavolo su cui sono stati posati sopra dei massi per un’eternità. Sono sicura che se fin da bambina, avessi vissuto come una consuetudine l’esibizione su un palco di un progetto indipendente femminile, e con questo intendo non solo una cantante o un’interprete, ma proprio un’autrice e una musicista come sono io oggi, il mio percorso professionale per diventare un’artista sarebbe stato notevolmente più semplice, veloce e felice perché avrei avuto in mente un esempio da imitare e la sicurezza che quell’idea è realizzabile. L’esempio è tutto.
Tanto di cappello al Siren, hats off.
Sabato 21 agosto porterai in scena il tuo nuovo EP, Safe, pubblicato lo scorso 18 giugno. Ci introduci a questo lavoro e ci fai entrare nel tuo universo?
Safe contiene quattro tracce, che ho scritto, registrato e prodotto personalmente. Ognuno dei pezzi raccolti all’interno dell’EP, contiene un universo di atmosfere ed emozioni proprie. Sono riflessioni, pensieri e suggestioni che ho avuto negli ultimi tempi; letture e seminari che mi hanno impressionato molto e che ho voluto condividere. È un viaggio introspettivo, ma non solo, un’esplorazione dell’universo nel quale siamo immersi e di cui facciamo parte. Per parlarti più nel dettaglio di questo nuovo lavoro, può aver senso condividere due righe su ciascun pezzo. “Space” è una canzone sulla contemplazione dell’universo, la nostra esistenza umana all’interno del cosmo, testimone silenzioso di tutta la nostra vita. “Safe” esplora la coscienza che nasce dall’aver vissuto un pericolo ed essere finalmente liberi, la meravigliosa sensazione di essere immuni e al sicuro. “Souls” ci ricorda che siamo isole sconosciute e inesplorate, ci fermiamo solo alla superficie dell’anima umana. Senza uno sforzo personale per conoscersi profondamente, l’amore è solo un’illusione sottile e dolce. “Gravity” è una canzone sulla nostra ombra, le nostre paure, tutti abbiamo una ferita dentro, se la ascoltiamo ci diamo la possibilità di guarire.
L’EP è composto da quattro singoli, quindi, i quali racchiudono ciascuno in sé un grande significato. Si parte da concetti più concreti di Space fino ad arrivare all’astratto di Souls. Le anime in questione sembrano mettersi in salvo da una realtà negativa. Si percepisce un desiderio di libertà nel progetto, dunque, ti chiedo, da cosa sta cercando di disfarsi Gold Mass e da cosa dovremmo allontanarci come esseri umani?
Non riesco a sentirmi nella posizione di poter dare indicazioni utili, posso solo condividere quella che è la mia esperienza fino a oggi. Sicuramente, io cerco di allontanarmi in tutti i modi dal mio ego e da quello degli altri. Ogniqualvolta le nostre reazioni ci portano a considerare solo la nostra felicità e non la felicità di tutti, lì siamo profondamente nell’ego. Nell’ego si soffre e si fa soffrire. Io sto solo cercando di essere una bella persona, non mi interessa altro. Abbiamo una finestra di tempo da vivere su questa terra, facciamo in modo che la nostra sia stata un’apparizione gentile e luminosa. Tutto qui.
Premetto che non mi piacciono i paragoni, ma quando ti ho ascoltata per la prima volta ho pensato ad Anna Calvi. Ti vedi vicina alla cantautrice britannica?
Non ho mai pensato a vicinanze ad altri artisti, anche perché gli altri sono sempre altro, e quello che fanno ci appare sempre come irraggiungibile. Al contrario, quello che creiamo noi è proprio quello che siamo, e non potrebbe essere diversamente, e ci sembra invece molto semplice e naturale. Ti ringrazio infinitamente di questo accostamento. Anna Calvi è un’artista che stimo moltissimo sia nei suoi primi lavori che nella produzione più recente. Eleganza e intensità, da vendere.
Ritornando all’evasione di cui parlavamo poco fa, qual è il posto in cui ti senti più al riparo, quello in cui scappi per trovare la pace?
Il posto dove mi sento meglio è sempre quello immerso nella natura. Una natura che conosco, però, familiare. Non sono una grande viaggiatrice, non ho visitato posti esotici se non con la mente o dentro ai documentari. Torno sempre e volentieri in Sardegna, dove sono nata. Lì c’è qualcosa che mi rigenera e mi spinge a restare. La natura, dove non è stata corrotta, è potente e bellissima e le persone hanno qualcosa da insegnare, si veda la vicenda di Ovidio Marras che rifiutando milioni di euro ha salvato dalla privatizzazione un angolo di paradiso a Teulada. Per me la pace è rispettare gli altri e la natura di cui facciamo parte.