– di Assunta Urbano –
Essere in grado di cambiare, sempre, è già difficile nella vita di tutti i giorni, figuriamoci nel proprio progetto artistico. Ne sa qualcosa Giò Sada.
Giovanni Sada, classe 1989, Bari nel cuore e nell’accento, musica che scorre nel sangue fin dalla nascita. Inizia a plasmarsi come artista nella scena punk hardcore, con diverse band, tra cui i No Blame ed i Barismoothsquad.
Nel 2015 partecipa alla nona edizione di X Factor, entra nella squadra degli “Over” di Elio e stravince. L’anno seguente parte in viaggio con Joe Bastianich, per il rockumentay Jack On Tour, e i due si trovano a toccare le tappe più significative della storia della musica statunitense.
Il musicista percepisce, però, la necessità di distaccarsi da un ambiente che non sente del tutto suo. Nel 2019, nasce l’atler ego Gulliver. Un nuovo inizio, lontano dai riflettori, riportando al centro la sincerità artistica. Dopo il primo album del 2020, Terranova, è uscito lo scorso 2 luglio l’EP Grande Buio, preannunciato da un docu-live esclusivo, in cui il pugliese si esprime attraverso i suoi brani.
Abbiamo intervistato Giò Sada, che ci ha raccontato del suo percorso, della sua visione del mondo e del suo ultimo lavoro.
Venerdì 2 luglio è uscito il tuo nuovo EP. Cos’è il Grande Buio?
Dal testo della canzone omonima si può intuire qualcosa. Quando l’ho scritta ero arrivato al limite. Emotivamente, ero vicino all’esaurimento nervoso, tra ansie e paure, e volevo esplorare questo momento, capire da dove proveniva e approfondire lo stato d’animo. Avevo lasciato aperte troppe porte, da cui è entrato tutto. Con la questione di X Factor, ho vissuto tre anni di fuoco. Questo ha portato del positivo, come le nuove amicizie, le nuove possibilità; il lato negativo è come viene trattata la materia musicale dopo il talent.
Io venivo dal punk, dall’hardcore, e capitombolare nel mainstream è stato uno shock sotto certi punti di vista. Con il passare del tempo, mi è sembrato di vedere una voglia nuova nel format, come nel caso dei Måneskin. Ricordo che quando cinque anni fa salivamo su quel palco, ci dicevano tutti che il rock era morto, le chitarre fuori moda. Sono contento di quello che sta succedendo.
Nel 2017, in quel mio periodo emotivo di cui ti parlavo, ho visto nella musica poca attenzione sui temi importanti ed una disattenzione riguardo lo stare insieme. L’obiettivo principale di Grande Buio è riconciliare l’anima. Risolvere il momento in cui non riesci a localizzare il problema.
Quattro canzoni, quattro ambientazioni, quattro momenti diversi. L’opera è estratta dall’omonimo docu-live. Come sono nate la “tetralogia del coraggio” e l’idea di un viaggio tra le note, le immagini ed il racconto personale?
Stiamo cercando di creare delle ambientazioni sonore, che possano portarti altrove, attraverso la musica. La nostra idea è quella di creare un galeone. Noi siamo sempre sulla stessa barca, ma quello che ci girà intorno è ogni volta diverso. Da lì traiamo ispirazione.
Avevo necessità di raccontare questo mio processo. Un’evoluzione nel rapporto con me stesso e con gli altri. Un arrivo e una partenza allo stesso tempo. Adesso abbiamo aperto la strada a più rotte e possiamo andare dove ci pare, pur mantenendo un fulcro etico. Con Pasco Pezzillo dei JoyCut cerchiamo di mantenere sempre quest’integrità tra le onde. Dobbiamo diventare un tutt’uno con il naufragio, non evitarlo, ma accoglierlo quando c’è e vedere dove ti porta. Così come è successo, per l’appunto, anche a Gulliver. La “tetralogia del coraggio” è riuscire ad affrontare gli eventi emotivi. Ti scombussolano, ma ti permettono di portare fuori qualcosa di vero.
Come Gulliver, ogni esploratore che si rispetti ha anche una connessione con la madrepatria. Non è un caso se ti sei identificato in questo personaggio. Il docu-live, infatti, si apre con l’immagine del mare ed il tuo legame con l’acqua. Che rapporto hai con la tua terra, le tue radici ed in che modo la tua musica ne è influenzata?
Ho un rapporto molto profondo. È la mia ancora. Io so che, accanto al Grande Buio, accanto all’analisi di me e di quello che mi circonda, se mi butti in una sagra di paese, tra vino e noccioline, io sto bene. Ritrovo tutta la semplicità di cui ho bisogno. Le tempistiche allungate, la genuinità, queste regole non stabilite sono la mia salvezza. È la chiave per riuscire ad immergermi nelle altre culture e spesso mi accorgo che non sono tanto diverse dalla mia.
Nel Grande Buio parlo anche di questo. L’unico modo in cui vorrei cambiare l’odio che ci pervade e ci impedisce di vivere tranquillamente è tramite la mia musica. Quella è la mia rivoluzione.
Proprio parlando di cambiamenti, negli anni hai sperimentato diversi generi. L’EP segna una nuova rinascita di Giò Sada nelle vesti di Gulliver. Cosa significa, secondo te, cambiare rotta nel proprio percorso artistico?
Un esempio: i Radiohead di OK Computer. Lì, la band ha deciso di prendere una strada diversa. Stessa cosa i Mumford & Sons, che dopo il successo stratosferico hanno abbandonato il banjo. Strumento che dava al gruppo un suono distintivo. Ci sono poi tanti artisti che hanno progetti paralleli per riuscire ad essere più liberi.
Il sistema ti sconsiglia di cambiare, perché il pubblico è abitudinario. Ma così è la morte. Nel mio caso, ho scelto di prendere questa strada, perché mi stimola di più. Sono entrato in un loop infinito di pensiero e mi sono accorto che noi tutti lasciamo una traccia. Ho preferito dirigermi verso quella più adatta a me. Dobbiamo ricordarci che si parla di arte, non di una gara di automobili.
Penso che, in certi ambienti musicali, ci sia una forte mancanza di rispetto nei confronti di chi ascolta. Fai il minimo indispensabile se pensi che la gente sia stupida. Questa cosa mi fa arrabbiare parecchio, è terribile, perché può portare ad uno svuotamento generale. Ad un certo punto qualcosa è andato storto, le cose importanti hanno perso il loro valore e nel futuro potrebbe non esserci più voglia di capire e approfondire.
Bisognerebbe, più di ogni altra cosa, placare questa infinita competizione e smetterla di vedere l’artista come merce.
Sono d’accordo, anche se non ripongo molta fiducia nel pubblico. Guardando, invece, ad un futuro più vicino: l’unico concerto annunciato fino ad ora è la data del 23 luglio ad Helsinki, in Finlandia. Per l’occasione salirai sul palco insieme a Davide Shorty e Whitemary. Quali aspettative hai per il ritorno live?
Non vedo l’ora! Quest’anno per me è stato pesante ed ho dovuto riorganizzare la mia vita. Pensare di tornare, in un posto del genere, all’estero e con due amici, è bellissimo! Non ci dovrebbero essere altre date, perché luglio lo dedicherò ad un film, in cui tornerò a recitare da attore.
In “Anima” canti: «Ho voglia di recuperare il tempo perso e dedicarlo sul momento a quel che mi fa stare bene». Non posso fare a meno di domandarti cos’è che fa davvero stare bene Giò Sada.
Stare a mio agio, mettere gli altri a proprio agio e incrociare qualcuno che mi metta a mio agio. Soprattutto, spero questo venga fuori con la mia musica.
In questo Grande Buio, Giò Sada, nei panni dell’esploratore Gulliver, è ancora alla ricerca della luce oppure l’ha trovata?
Usando una frase fatta, potrei dirti che sto iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel. È ovvio che in un percorso di ricerca ci sia una contrapposizione continua tra buio e luce. È un’alternanza come yin e yang. Cercherò sempre di non farmi dominare né da una né dall’altra parte. Questo è sicuro.