– di Martina Zaralli –
Il termine «manifesto» in funzione di sostantivo, aggettivo, verbo o avverbio porta in tutte le sue sfaccettature il senso di una definita e indiscussa evidenza circa qualcosa, circa una situazione. Per introdurvi l’EP di cui sto scrivendo accostiamo al significato di «manifesto» quello della parola «canzone», ossia un componimento lirico formato da un numero indeterminato di strofe, costitute a loro volta da un numero vario di versi rimati tra loro. Ora pensiamo questa unione al plurale: anzi, per essere precisi immaginiamola per quattro brani, quelli che compongono il mini-disco di Leonardo Angelucci, uscito lo scorso 4 giugno per Goodfellas. Con Manifesto canzoni, dunque, il cantautore romano dà forma all’evidenza delle emozioni attraverso la musica e le parole, mettendo nero su bianco la delicata fusione tra le sue esperienze di vita.
Anticipato dai singoli “Henné” e “Budapest”, l’ultimo lavoro di Angelucci è il risultato di un percorso nella curiosità artistica dell’autore; un sentiero da esplorare con l’ascolto che conduce verso luoghi musicali abitati da testi intimi e considerazioni graffianti, da chitarre e bassi incalzanti. Avevamo avuto modo di conoscerlo più da vicino nel 2018 con Questo frastuono immenso: a tre anni di distanza dal suo primo album di inediti eccolo tornare con una produzione figlia di un’urgenza espressiva, che ne svela l’anima più riflessiva e matura, canzoni vissute in uno spazio e un tempo pandemico, assurdo, diverso, a tratti lisergico.
Ci sono la felicità, la rabbia, il dispiacere, ma anche la voglia di rinascita, di viaggiare di fantasticare su un futuro libero da preoccupazioni ed è così che in Manifesto canzoni si staglia una sequenza ben calibrata di immagini vivide del passato e del presente del cantautore, immerse in una morbida narrazione indie pop sorretta da tastiere anni’80 e sonorità tipiche degli anni ’90. Quattro brani che suonano come quattro figure retoriche per manifestare, per illuminare l’indiscussa ed evidente forza delle emozioni e dei sentimenti: dal viaggio di “Budapest” per parlare di attimi passati e di mete da raggiungere, di partenze e di ritorni, all’esplorazione dell’amore carnale in “Geografia” per ricercare desiderio e bellezza, dal gioco del calcio di “Unghie” per cantare la separazione e la distanza dalla persona amata, all’inquietudine di “Henné” per visitare in punta di piedi i posti più fragili dell’anima.
Racconta il cantautore, parlando del mini-disco: «Partendo dall’idea di un collage di mappe, biglietti, giornali e timbri, si è palesata la possibilità di raccogliere tutti i brani sotto il macro-concetto del manifesto. Così è nato Manifesto canzoni. Da un gioco di parole, una triplice metafora. Da quattro canzoni appese al muro, dall’urgenza di manifestarle con gioia, rabbia e voglia di rivincita, in una dichiarazione di intenti musicale, fatta di chitarre e sintetizzatori».
I contenuti ci sono. Manifesto canzoni – prodotto allo Stra Studio sotto la supervisione artistica di Giorgio Maria Condemi – regala in meno di quattordici minuti la lettura dell’estratto di un personale diario sonoro, una breve ma piacevole raccolta di sensazioni, che pone l’attenzione sulla scrittura di Leonardo Angelucci capace di coniugare tradizione cantautorale e ricerca musicale nelle rime dei pensieri.