– di Naomi Roccamo –
C’è una frase che credo di essermi portata dentro per molto tempo durante la mia adolescenza e vita semi-adulta ed è “Se muoio già dalla voglia di ricordarti a memoria”. L’ho fatto, idealizzando di continuo rapporti mai nati e quelli nati (per sfortuna).
Forse è proprio tramite quella frase e quella canzone, “L’unica”, che ho conosciuto i Perturbazione ed è da lì che poi ho scoperto “Agosto” o “Buongiorno Buonafortuna”. Insomma è da lì che ho scoperto, andando a ritroso, chi fossero.
Nascono a Rivoli nell’88 e diventano uno di quei gruppi degli anni d’oro, collocati fra gli Afterhours e i Bluvertigo e fra tutte le produzioni immortali di quei tempi.
Ho avuto una chiacchierata piacevolissima con Tommaso Cerasuolo, voce e parlantina del gruppo, in occasione dell’uscita del videoclip di “Dieci fazzolettini”, brano contenuto nel loro ultimo album (dis)amore.
(dis)amore parla dell’inizio, dello svolgimento e della fine di una relazione. Com’è stato scrivere un disco di 23 brani e come sarà scriverne un altro, se non lo state già facendo.
Lavorarci è stato entusiasmante perché partendo dalle esperienze che avevamo fatto lavorando in teatro nacque una scrittura dedicata a una forma di narrazione che non nasceva da noi ma per la quale ci mettevamo al servizio, per ricreare un’atmosfera sul palco che non spiegasse ciò che succedeva in scena ma evocasse lo spirito dell’opera. In questo caso, per questo disco, l’illuminazione è stata il capire che volevamo tendere verso una scrittura di una storia che aveva come protagonisti personaggi qualunque, di una storia ordinaria e metropolitana in cui ci si conosce, ci si innamora, ci si ama e si affrontano i problemi. Credo che questo disco sia il nostro scrigno, la chiave in copertina lo dimostra. Fa parte di quelle scatole che la gente a volte seppellisce e riscopre dopo anni. I protagonisti di questa storia ci dicono di metterci dentro tutto se si vuole la verità, sia il buono che il cattivo. Come nel mondo visivo anche le canzoni di questo disco rispecchiano un po’ dei tempi particolari, alcune durano tanto, come i piani sequenza, altre sono corte, come le inquadrature. Abbiamo pensato e scritto come se si trattasse di un film, è stato emotivo ma anche molto intellettuale come processo. Credo che il disco regga bene, abbiamo lavorato tanto e forse adesso è arrivato il momento in cui possiamo non avere nessuna fretta.
A proposito di chiavi e scrigni, c’è da notare una certa circolarità e autoreferenzialità visto che una delle vostre canzoni si chiama proprio “Nel mio scrigno”. Nella vostra carriera si è sempre palesata questa necessità di unire altre forme d’arte alla musica come, appunto, il teatro…
Abbiamo sempre cercato di mescolare le carte. Un po’ per la nostra natura, cioè per gli interessi dei singoli nel gruppo che ricoprono l’illustrazione, la scrittura e altre forme d’espressione (e questo è il motivo artistico), un po’ per motivi pratici, perché la musica non è più il baricentro attorno al quale ruota la comunicazione, è liquida, è lei che gira attorno ad altre cose. Sembra sciocco dire che faccio il verso a Gaber, ma lui ha inventato il teatro canzone e quello era il suo linguaggio, abbiamo cercato anche noi il nostro linguaggio. Un linguaggio nuovo che incroci le cose, nel senso di valore aggiunto, qualcosa di nuovo che non c’era prima. Forse in modo un po’ caotico, ma lo abbiamo fatto. I dischi sono come i sassi che lanci nello stagno, è bello vedere che tramite alcune forme te ne tornano indietro altre, che sia sotto forma di musica o altro.
Il video di “Dieci fazzolettini” sembra un Art Attack, è minimal e veloce. Di chi è stata l’idea?
L’ho fatto io, anche con mia figlia Emma. A me piacciono tanto i film di Michel Gondry, mi piace giocare con delle cose che si hanno a portata di mano. Si gioca con quello che si ha, in un modo un po’ casalingo. I videoclip hanno un potenziale quando non sono didascalici; non è più come all’inizio, coi primi videoclip, in cui si nominava un tramonto e si vedeva un tramonto [ride, ndr]. Nel dialogo fra musica e immagini si instaura una specie di breccia, si usa il contrasto e l’analogia e allora lì l’esser didascalici potrebbe funzionare.
Che ricordi hai di quel Sanremo 2014 e come ti senti rispetto a “L’unica”, la canzone con cui avete gareggiato? Colapesce e Dimartino quest’anno han portato “Musica leggerissima” e voi avevate scritto più di 20 anni prima “Musica leggera”? Vi siete ironicamente sentiti un po’ toccati e orgogliosi da e per ciò?
Ho un ricordo bello e nostalgico, quella canzone è un’onesta dichiarazione d’amore, un po’ fragile ma per questo molto sincera. Il ricordo è piacevole anche se quell’anno non fu semplice perché Gigi ed Elena lasciarono il gruppo. Abbiamo preso direzioni diverse, Gigi in particolare non era molto fiero di Musica X, ma siamo sempre stati un gruppo alla ricerca di una storia nuova. Un anno rocambolesco, con cose inaspettate, ma ci ripenso anche con nostalgia. E per “Musica leggerissima” son contento, han portato un pezzo apparentemente spensierato ma in realtà stratificato.
Avete collaborato con Vasco Brondi ai tempi de Le Luci della Centrale Elettrica. Ho in mente la vostra esibizione di “Piromani”. Che ne pensate dell’ultimo disco e che rapporto avete con lui e con la musica “giovane” di oggi, essendo un gruppo nato nel momento delicato in cui si ponevano le basi per tutto quello che circola adesso?
Ho visto gli ultimi videoclip di Vasco e li trovo molto interessanti perché lui è sempre in fase di maturazione e ricerca di un linguaggio nuovo. Lo fa rimanendo torrenziale, non è che stia andando per sottrazione però non è più un fiume in piena come durante la gioventù, sta diventando adulto, si è ridimensionato. Non ci si annoia mai ascoltandolo. Abbiamo lavorato bene insieme con Le città viste dal basso, è stata una grande palestra. Anche lì si trattava di una ricerca trasversale in cui più artisti si univano e suonavano un insieme di brani e crescevano vicendevolmente. Confesso di essere anziano [ride, ndr]. Si tende a rifugiarsi per consolazione nelle canzoni con cui si è cresciuti, ma credo sia fisiologico. Non riesco a stare dietro a molte cose ma mi impegno, ad esempio i Coma_Cose mi hanno incantato, sono deliziosi e giocosi, li ho inquadrati in un attimo. Negli ultimi anni ho ascoltato molto Iacampo, non è giovanissimo, come noi fa parte di una generazione un po’ più anzianotta, ma ha fatto dei dischi bellissimi. Di recente poi abbiamo scritto con un gruppo che si chiama dellarabbia un pezzo che deve ancora uscire. Secondo me questo lockdown ha accelerato il processo di omologazione rispetto ai suoni, e diciamo che da Calcutta in poi è tutto molto simile, secondo la stessa formula, a mio avviso. Lucio Corsi ad esempio per me è bello bello, abbiamo suonato ad Ancona al La Mia Generazione Festival, è forte. Sa raccontare e creare paesaggi emotivi e geografici, come il rapporto fra Maremma e grande città. Una cosa molto italiana che lui sa fare bene. Poi io penso che non si possa ascoltare e conoscere tutto, bisogna ascoltare meno e meglio.
La mia generazione è confusa dallo streaming. Non siamo cresciuti ascoltando un disco dall’inizio alla fine, o comunque non lo facciamo più. A questo punto faccio la nostalgica e ti chiedo della collaborazione con Dargen D’Amico in “Con te”, che io adoro.
Dargen l’ho conosciuto durante un videoclip girato in piena estate a Torino con un regista matto, mi ricordo dei fumogeni [ride, ndr]. Mi piace il suo modo inarrestabile di fare le cose, sempre trascinante e completamente e pazzo. Forse un po’ questa autenticità gli è costata pochi riconoscimenti, che avrebbe dovuto avere invece in varie occasioni, però lui è sempre un folletto libero, molto più di alcuni suoi colleghi marionettati. Quando si è così liberi si vince in ogni caso.
Hai detto che non avete fretta del futuro, ma le date estive ci saranno? E poi avete anche ideato e creato delle graphic novel..
Anche quello è stato un esperimento. La casa editrice voleva bene ai nostri dischi e ci ha dato questa possibilità. Ci siamo resi conto di voler raccontare un arco temporale di 10 anni di amicizia e di voler parlare del tempo, degli effetti che ha sulle persone. E comunque sì, qualche data estiva la faremo assolutamente!