I WakeUpCall sono arrivati a un punto cruciale del loro percorso, quel limbo artistico che separa i professionisti (o quasi) dagli underground alle prime armi. Quel momento in cui sai di aver fatto tanta gavetta e ti serve quello slancio in più per entrare nel circuito dei festival, degli show di un certo livello, del contatto con un pubblico più vasto. Ciò che è curioso, e riguarda questa giovane pop/punk band di Roma attiva dal 2009, è che questa gavetta, il grosso dell’esperienza live, è stata fatta all’estero invece che in Italia. E non proprio per scelta: “suonare all’estero è più soddisfacente sotto tutti gli aspetti – ha rivelato in merito il cantante/chitarrista Tommaso Forni, membro dei WakeUpCall insieme al fratello Oliviero (chitarra), Dario Stagnitto (basso) e Giacomo Pettinelli (batteria) – perché vieni rispettato come artista pur non essendo affatto una rockstar. Inoltre anche il discorso economico è importante, in quanto lontano dall’Italia abbiamo percepito ultimamente dei compensi che dalle nostre parti non verrebbero mai sborsati per band come noi”. Olanda, Svizzera, Francia e Lussemburgo sono state le mete scelte dai WakeUpCall per la diffusione del loro sound, oltre che di due dischi autoprodotti (l’Ep WakeUpCall del 2010 e il full-lenght Batteries are not included del 2012), con un po’ di rammarico per non aver avuto la possibilità di girare di più l’Italia: “siamo italiani e non ce ne vergogniamo, siamo frustrati del fatto che di 21 date promozionali 18 siano state all’estero, proprio per la difficoltà di movimento dalle nostre parti rispetto all’Europa. Vorremmo portare la nostra musica anche in giro per la penisola ed essere trattati con lo stesso rispetto, ma è dura”. Forse sarà stato proprio il destino (o magari il momento nero dell’arte nello stivale) a spedire il rock tipicamente americano dei WakeUpCall lontano da un paese in cui Sanremo, indie a tutto spiano e talent show hanno la meglio su ogni cosa. E forse per i WUC sarà meglio così, in futuro. Chissà…
Marco Reda