zero miracoli è il nuovo album di Neverbh, in uscita il 21 maggio per UMARecords, in distribuzione Sony Music Italy. È stato anticipato dai singoli “moon”, “vai o resti”, “ehi dimmi” e “byebye” (feat. Tamì) e ora insieme agli altri inediti si presenta come un racconto, ogni canzone è una fotografia di un momento preciso ed è associata a un simbolo, uno storytelling visivo oltre che cantato.
Questo disco rappresenta l’ultimo anno di crescita e di ricerca dell’artista veronese, dove ritornelli pop, venature elettroniche e sonorità lo-fi esaltano la sincerità del suo songwriting: autentico, sussurato e delicato.
“zero miracoli ha un doppio significato. Da un lato, quando qualcosa finisce non puoi aspettarti che torni indietro, non devi appenderti con ossessione a un miracolo, ad un ritorno. Quel che avevi è stato perso, e devi andare avanti, nel bene e nel male.
Dall’altro, nella vita devi combattere per prenderti i tuoi sogni. Non puoi aspettarti che accada il miracolo. Devi stringere i denti e lottare. Il senso è che spesso credere ai miracoli è limitante, perché ci porta ad avere poca fede in noi stessi, ci sediamo e speriamo che le cose accadano. Invece siamo noi a farle accadere.”
Ecco cosa ci ha raccontato!
Da dove arriva il titolo zero miracoli?
Per zero miracoli intendo che non dobbiamo vivere aspettando che accada il miracolo, o affidandoci alla fortuna. A tutti noi è stato dato qualcosa che possiamo usare per prenderci quello che vogliamo con la giusta dose di impegno. Affidarsi ai miracoli è un limite poiché ti porta a vivere passivamente la vita, ti porta a sederti e aspettare che gli eventi ti arrivino addosso. Il senso è invece di avere un ruolo da attori e non semplici comparse.
Com’è stato collaborare con Tamì? Come vi siete influenzati?
Io e Tamì ci conosciamo ormai da tre anni e avevamo da sempre avuto il piano di collaborare. Abbiamo fatto tutto a distanza e abbiamo avuto un’ottima intesa. Ciò che ci accomuna credo sia la sensibilità e la fragilità. Per quanto riguarda le influenze, sicuramente lei mi ha contagiato nella musicalità delle parole, e nel modo in cui le “plasma”. Questo almeno per il pezzo insieme, e spero ce ne saranno altri in futuro.
E della tua collaborazione con Marco Paganelli?
Marco ha un gusto musicale incredibile. C’è stato subito del feeling sulle produzioni devo dire, ci capiamo in fretta, abbiamo le idee chiare, e alla fine è tutto ciò che serve per una collaborazione. Sono felice del fatto che abbia compreso senza troppa difficoltà il mio immaginario, che è un po’ la chiave del mio progetto e quindi gioca un ruolo determinante.
Cosa significa l’etichetta “lo-fi” nel tuo disco?
È un po’ il mio passato. Ho iniziato con un microfono da trenta euro due anni fa, in soffitta. Chitarra registrata dal telefono delle volte. Per me “lo-fi” è l’elemento “grezzo” ma al tempo stesso puro, vero, real, che non può mancare. Ovviamente col tempo ho alzato la qualità, ma abbiamo (insieme a Marco per i nuovi pezzi) cercato di mantenere sempre quella chiave “sporca” tipica delle mie canzoni. Il succo è che la musica non deve essere perfetta tecnicamente, di questo ne sono convinto. Vince sempre l’idea e il mondo che racconti.
E in che modo questo disco rappresenta un nuovo percorso per te?
Mi sento cresciuto come persona. Custodisco con orgoglio ciò che ero e non rinnego nulla. Sono ancora quello di Perdimi piano (la mia prima raccolta non ufficiale), ma sono più consapevole e ho una meta più precisa. Questo disco è tipo un capitolo uno: inizi a leggerlo sapendo già qualcosa dell’introduzione, del passato, ma aspettandoti ancora tanto dal futuro.
Esiste una scena musicale di Verona?
Certo che esiste ed è molto variegata. È un po’ nascosta forse, ma sta iniziando a farsi sentire. Tempo al tempo. Per ora il talento su cui punterei gli occhi è un duo, i 2Rari. Non è il mio genere (rap) ma sono promettenti. Poi ci sono diverse band alternative rock che spaccano, ad esempio i miei amici Fry Days.