– di Luigi De Stefano –
In un torrido pomeriggio d’estate del 2531, un adolescente si imbatte per caso in una vecchissima canzone di Franco Battiato, diciamo “Stranizza D’Amuri”, e se ne innamora follemente. Non capisce le parole, ma rimane incantato dalla voce, dal ritmo, da una musica solare e ipnotica come la luce che entra dalle finestre socchiuse e disegna arabeschi sul muro.
Vuole saperne di più, quindi va a leggere cosa dice di lui l’enciclopedia. Ma ancora non gli basta, e allora apre l’archivio dei social network, e comincia a cercare cosa scrisse la gente il 18 maggio del 2021, quando scoprì che quell’uomo dalla voce gentile non poteva davvero superare le correnti gravitazionali.
C’è un popolare fumetto di Zerocalcare dal titolo “Quando muore uno famoso”. È arguto e divertente, ma viene spesso usato a sproposito, come ebbe modo di scoprire lo stesso Rech quando ad andarsene fu Carrie Fisher.
Tuttavia, il “lutto social” è in effetti uno strumento molto efficace per rendersi conto di chi se ne sia appena andato. C’è il numero dei commenti, certo, ma anche il loro contenuto, e nel caso di Franco Battiato questo non potrebbe essere più variegato.
Il nostro ragazzo del 2531 scoprirebbe che Battiato, quel giorno unanimemente appellato “Maestro”, aveva creato qualcosa per tutti: aveva immaginato una musica sempre diversa, aveva trovato per ognuno almeno una canzone in grado di vincere la ritrosia.
Perché c’è chi in quella solatia mattina di primavera del 2021 lo ricorda con i suoi brani sperimentali dei primi anni ’70, quando, da Fetus a M.elle le Gladiator, Battiato propone i suoi collage elettronici, la sua avanguardia intellettuale che mescola Stockhausen e canzone d’autore, minimalismo e suggestioni mediorientali. E poi ancora gli anni successivi, l’epoca incredibile in cui album fatti di strumentali da 20 minuti o esperimenti puramente concettuali (L’Egitto Prima delle Sabbie) potevano essere pubblicati da Ricordi.
Poi c’è chi propone qualcuna delle sue hit. Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 Battiato ne produce moltissime, per sé e per gli altri (basti pensare ad Alice, che con “Per Elisa” sbaraglia a Sanremo classici immortali della canzone italiana come “Maledetta Primavera”, “Ancora” o “Sarà Perché ti Amo”).
Il cantautore siciliano sceglie infatti di tornare al pop dei suoi esordi pre-discografici, e di contaminarlo con un approccio letterario alla canzone d’autore. I suoi brani spiazzano per il florilegio di citazioni erudite e apparentemente inconsequenziali, ma incantano e fanno ballare milioni di persone, riuscendo dove persino Sua Maestà Lucio Battisti dovrà arrendersi: ottenere un grande successo di pubblico con l’ermetismo lirico.
Da L’Era del Cinghiale Bianco (1979) a Mondi Lontanissimi (1985), passando per il trionfo de La Voce del Padrone (1981), Battiato continua a sfornare instant classics, in equilibrio tra poetica colta e puro divertissement, il senso del possesso che fu pre-alessandrino, sì, ma anche cuccuruccuccu paloma.
Sono gli anni in cui dissemina one liners che sopravviveranno persino alla sua musica. Il nostro ragazzo del 2531 ne trova parecchi nei post dei suoi fan, dal comprensibile odio verso i semafori (così lo ricorda Cristiano, che pubblica su Facebook “Un’Altra Vita”) a quello verso le “immondizie musicali” e le pedane “piene di scemi che si muovono”, un’idiosincrasia per la musica del tempo che avrà il suo zenit nella memorabile sfilza di generi non sopportati di Centro di Gravità Permanente, il capolavoro di sincretismo artistico in grado di far cantare anche ai bambini di gesuiti euclidei alla corte dei Ming.
Gli inconfondibili testi saranno sempre la sua cifra più riconoscibile, rendendolo anche piacevolmente parodiabile (altro successo su Battisti, di cui si ricorda solo un’orribile imitazione di Alighiero Noschese). Ma questo non tragga in inganno: Battiato non è solo quel signore vestito strano che borbotta di “rozzi cibernetici signori degli anelli”, è anche un poeta in grado di toccare le corde più profonde dell’anima.
Gli anni ’90 si aprono con la struggente “Povera Patria”, che per carità, in questo Paese torna sempre buona, ma ascoltata con il corpo di Libero Grassi ancora caldo, mentre all’orizzonte brillano le fiamme di Tangentopoli, era quasi difficile da sopportare.
E poi, cinque anni più tardi, “La Cura”, forse l’ultimo grande classico della canzone italiana: un piccolo miracolo di note e parole che mise d’accordo chi della musica ha fatto la sua vita con chi la usa per coprire il rumore dell’aspirapolvere.
Il nostro ragazzo ha un appuntamento su Marte tra quindici minuti, ma tanto col teletrasporto ci vuole un istante. E allora continua a sfogliare i necrologi social, e trova tante immagini, filmati e ricordi di concerti: testimonianze dell’instancabile attività dal vivo del cantautore.
C’è mio padre che pubblica l’esibizione a Reggio Calabria dei Telaio Magnetico, supergruppo prog fondato proprio da Battiato, sostenendo di averlo organizzato lui. Poi c’è Sara che propone il coraggioso concerto a Baghdad del 1992, in un paese martoriato dalla guerra e dall’embargo. E c’è di sicuro chi ricorda quando, in mezzo al pubblico, coinvolse la propria ragazza in un sinuoso valzer durante “Voglio Vederti Danzare”, omettendo che poi si sfiorò la rissa, perché in effetti era già da mezz’ora che erano fastidiosissimi.
C’è anche chi pubblica le immagini degli ultimi spettacoli, nel 2017. Pare già avesse problemi a ricordare i testi.
Il ritiro avverrà prima della fine di quel tour. Tutti sanno il perché, ma ci sono parole che – per rispetto e per paura – si fa fatica a pronunciare. Meglio allora utilizzare le sue: ce ne sono tante che sembrano scritte proprio per quel 18 maggio. Siamo solo di passaggio, ma torneremo ancora, e ancora.
Chissà se il nostro ragazzo dal nome impronunciabilmente futuristico troverà anche il mio post. Io ho pubblicato “Un Falco nel Cielo”, pezzo scritto e interpretato da Battiato durante il suo breve trascorso del 1971 negli Osage Tribe.
Ho scelto quel brano un po’ perché mi sembrava una strada meno battuta, e un po’ perché lo cantavamo con grande entusiasmo tanti anni fa, al tempo degli scout, senza avere idea di chi ci fosse dietro, ed eravamo felici.
La cosa migliore che si possa fare in un momento di tristezza è cercare un motivo per sorridere, anche se di nostalgia.
È il 18 maggio del 2021.
A Roma è una bella giornata di sole, e molte automobili girano con i finestrini abbassati. E così, quando mi accosto con lo scooter, dall’interno sento provenire la musica del grande Franco Battiato (Ionia, 1945/Milo, 2021).
Sorridere di nostalgia…Forse si può, ma non oggi.
Bell’articolo, dovresti scrivere di piu