– di Assunta Urbano –
Un occhio color ghiaccio, ciglia lunghe, mascara e ombretto scuro. Può una sola immagine essere simbolo di un gruppo musicale ed emblema di un intero panorama? La risposta è sì. Dietro questa icona si nascondono, infatti, le quindici canzoni di Amen, disco glorioso del 2008 dei Baustelle.
Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini avevano già conquistato gli ascoltatori e creato una fedele cerchia di fan, ma quell’album così rivoluzionario li ha immortalati e resi identificativi del mondo alternative italiano.
Di ribellione torna a parlare Rachele Bastreghi, oggi, venerdì 30 aprile, con la pubblicazione di Psychodonna, il suo primo vero disco da solista, dopo l’esperienza di Marie, EP del 2015. Il titolo racchiude in sé mille sfaccettature, così come diverse sono le anime di questo lavoro profondo e personale. Abbiamo intervistato l’artista, la quale ha portato allo scoperto la psychodonna che si cela in noi.
Psychodonna è un lavoro intimista totalmente al femminile; lo notiamo anche solo dai titoli dei brani “Lei”, “Due ragazze a Roma”, “Penelope” e, per l’appunto, “Psychodonna”. Catapultiamoci in questo viaggio.
È un lavoro sul forte bisogno di esprimermi tramite un linguaggio personale, trovarmi a mio agio con la mia voce, mettermi alla prova e spogliarmi, soprattutto con me stessa. Ho portato alla luce un mio diario intimo, ho cercato di essere il più sincera possibile, di metterci tutti i miei contrasti, che negli anni mi sono accorta di avere, e tutti i pianeti opposti che cercano di coesistere, trovando il loro equilibrio. È un concept sull’anima femminile e una donna che si mette così a nudo fa emergere anche l’aspetto più maschile, presente in tutte noi. La forza, la debolezza, la fragilità, la volgarità, il coraggio, la sfrontatezza. Tante cose che apparentemente sono distanti, ma che, invece, fanno parte di un’unica persona.
Compare, infatti, un “intruso”, un unico uomo, che è l’attore Harry Stanton. Perché la scelta è ricaduta proprio su di lui?
Forse lui rappresenta la mia anima maschile. Il cappello, la sigaretta, lo stare da soli, l’essere un po’ egoista, la persona che cerca la sua via. Guardando i suoi film, l’ho associato a un personaggio che prende spazio e diventa il protagonista della sua vita. La riflessione, l’isolamento che ho adottato per trovare le parole, le mie emozioni, i miei sentimenti, soprattutto nelle ore notturne, nel mio habitat naturale fin da piccola. Quando creo ho bisogno di staccarmi dalla realtà.
Riguardo la notte si concentra il primo singolo pubblicato il 9 aprile, “Penelope”. Un personaggio per nulla casuale. Nella mitologia greca, la regina di Itaca viene ricordata come la fedelissima moglie di Ulisse, ma il motivo per cui è stata esemplare nel tuo progetto è un altro. Come si incontrano la Penelope tradizionale e quella della canzone?
Penelope è l’emblema della donna. Quell’attesa di cui parli c’è, perché è una fedeltà che fa parte di me e ho riscontrato in altri passaggi della mia vita. Però, c’è questa voglia di credere ad un proprio sogno, di crearsi uno stratagemma. Lei lo faceva di giorno e di notte, io ho solo spostato la fascia oraria. In me questo diventa più pignoleria, lavoro. L’idea nasce dal soprannome datomi dal mio collaboratore, che aspettava la canzone e io continuavo a rimandare il momento di consegna, perché avevo sempre bisogno di rimaneggiarla, arrivando alla fine ad una quindicesima nuova versione. Poi, la stessa Penelope mi ha mostrato che c’è un’altra strada: credere in se stesse e farsi un viaggio sia immaginario sia reale. È una punkettona Penelope! Anche se non lo sa, lei è convinta che il suo uomo ritorni. È una visionaria romantica, no?
Assolutamente. È la rappresentante di un album pieno di donne ribelli. Dalla canzone è stato tratto il video, uscito il 22 aprile. Ciò che resta impresso è il colore degli abiti. Spesso quando si parla di rivoluzione si prediligono delle tinte più sgargianti, invece, per quale motivo “ha vinto” il bianco?
Lo amo quanto il nero, così come amo la musica quanto il silenzio. È un gioco di contrasti che mi affascinano sempre e che, per me, hanno una loro verità. Mi rappresentano sia il bianco che il nero, insieme e separati. È far vedere le diversità che ci alimentano, ci guidano. Psychodonna è un disco dark, ma in copertina c’è una foto chiara. Un po’ stupisce, un po’ inganna. Fa vedere ancora un altro lato di me. Il non aver paura di cambiare, di essere in movimento.
Può suggerire anche un ulteriore spogliarsi, mettersi a nudo.
Certo, liberarsi dalle paure, dalle maschere, dalle trappole. Rimanere nudi e arrivare all’essenziale. Rientra in questo concetto anche la poetessa Antonia Pozzi, con la sua opera “Guardami: sono nuda”, che ha ispirato il progetto.
Il manifesto di Psychodonna è sicuramente “è necessario svegliarsi. È necessario il cuore. La rivoluzione”. Partendo dalla citazione, cosa è stato necessario per la genesi di questo lavoro?
La consapevolezza, la mia urgenza artistica e umana. Io sono totalmente in movimento, una pazzoide, ma sono contemporaneamente pigra. Nel corso della giornata cambio stato d’animo, umore, e diventa una fatica gestire entrambe le parti. C’è la necessità di trovare una propria via di espressione. Quella citazione è ciò che io mi ripeto: devo svegliarmi, nel senso che devo fare qualcosa, non aver paura di essere come sono, devo aprirmi e avere il coraggio di portare avanti un’idea. La rivoluzione in quel senso è non avere timore del cambiamento.
Da qui l’introspezione diventa, invece, collettività.
C’è bisogno di sentire una forza comune. Mi piacerebbe vedere più amore, coalizione e comprensione tra donne. Se ci facciamo la guerra, si torna indietro di secoli.
Le collaborazioni all’interno del disco sono ugualmente total pink. Tra le varie, c’è Meg ed è stata una scelta interessante, dato che proprio negli stessi anni in cui si formano i Baustelle, a Napoli acquisiscono fama i 99 Posse. Toscana e Campania si ritrovano “a metà strada” in “Due ragazze a Roma”.
È vero! Questa unione è nata da un rapporto umano di stima, ci conosciamo da tanti anni. Come hai detto, abbiamo un percorso artistico simile, come donne di due gruppi di uomini, che intraprendono una carriera parallela da soliste. Quel pezzo mi ha richiamato la sua voce, era il momento giusto per mettere in atto questa collaborazione.
Altra canzone, altra donna: “Fatelo con me”, cover di Anna Oxa, una delle artiste più sottovalutate della nostra storia musicale. C’è una ragione per cui hai inserito questo brano? E, parlando di voci femminili italiane, quale, secondo te, è oppure è stata la più incisiva?
Questa è una domanda difficilissima! Ora, ovviamente, ti dico Anna Oxa, perché ha fatto parte della mia adolescenza. A volte scopri delle cose che reputi distanti da te, ma poi, ad esempio, ho ripescato questo pezzo mentre lavoravo al disco e l’ho trovato perfetto. Mi sono riconosciuta. Una canzone scritta da Ivano Fossati con un messaggio emancipatissimo ed ancora attuale. La storia di una giovane diciottenne, che vestita da uomo con i baffi finti invitava a fare la rivoluzione, a ribaltare il gioco di ruoli nella coppia, contro una società retrograda e maschilista. L’ho vista punk nell’attitudine e l’ho fatta ancora più punk, citando un po’ Suicide.
Da una carriera ultraventennale con i Baustelle, questi nove brani ti vedono non solo senza i compagni di avventura, ma anche alla produzione (insieme a Mario Conte). Nel tuo percorso professionale e umano, è stato difficile portare alla luce questo lato privato?
Sì, sono schietta! [ride ndr.] Però, c’era un fermento dentro; per me, è stato proprio un viaggio attraverso me stessa nel tempo, da quando ero bambina alle lezioni di pianoforte. Tutti i passaggi mi hanno aiutato ad essere ciò che sono oggi. Ho aspettato questo momento, per essere in grado di fare un disco che volevo fare. La musica per me è sacra, non è mai a caso, c’è sempre una ricerca. È stato un lavoro divertente, caciarone, completo. È il mio disco di formazione.
Infatti, l’album racconta di disordine, confusione e presa di coscienza del proprio io. Le presenze femminili distinte in ogni singolo si uniscono in coro nella traccia che porta il titolo del disco, ma cosa significa essere una psychodonna?
Essere una psychodonna è un’attitudine di vita. Come nel caso di Penelope, una persona che si rende conto di non essere ordinaria e di voler dare vita a tante sfaccettature opposte. È una donna senza mezze misure, con sensibilità e fragilità, ma forte e combattiva. Non vuole fare guerre, vuole semplicemente dire chi è e uscire allo scoperto.