Di questo disco abbiamo ampiamente segnato i confini e le sfumature in questa nostra recensione firmata da Marina Zaralli. Oggi però indaghiamo l’uomo e la virtù che c’è dietro attraverso curiosità di ufficio e di follia, anche pensando a questo “Synchronair”, evento di lancio (vero e proprio) andato in streaming e che ha raccolto oltre 20 mila utenti per la prima di questo bellissimo nuovo disco dei Piqued Jacks. Un lancio da paracadute… anche queste sono storie di sincronizzazione. Un po’ come tutta la genesi di un lavoro interessante, anglosassone… anzi “anglosassono”.
Iniziamo dal vostro lancio “Synchronair”… un lancio vero e proprio. Assurdo ma vero… ce lo raccontate?
Vorremmo poter essere in video e mimarvi le nostre facce davanti al portellone dell’aereo aperto. Sostanzialmente ci siamo lanciati col paracadute da 4300 metri per la prima volta nella nostra vita, per poi suonare il disco intero in diretta streaming appena atterrati. È comunque più facile guardarlo che raccontarlo (la diretta è sulla nostra pagina Facebook), è come se provassimo a spiegarvi Il Padrino: va visto (anche perché sia quello sia “Synchronair” sono due ore e mezzo di roba).
E ora veniamo al disco. Ho come l’impressione che questo nuovo disco dimostri una compostezza maggiore rispetto al vostro recente passato. Sbaglio secondo voi?
È sicuramente un lavoro con più sfumature pop dei precedenti, così come c’è stata una maturità diversa nell’affrontare la scrittura. Non diremmo compostezza perché siamo più scatenati di prima, è un dato di fatto; i pezzi per smascellare non mancano.
Avete sempre curato moltissimo l’aspetto visivo del vostro suono. Tantissimi i video in rete a voler ripercorrere la vostra carriera. In questo versante del lavoro che evoluzione sentite di aver incontrato?
Come insegnano i Pokémon la terza evoluzione è sempre la più forte. La musica deve evolversi ma nel nostro modo di viverla anche il resto deve andare di pari passo. Pubblicare i nuovi singoli con video che non ne rispecchiassero la qualità non avrebbe dato quell’arricchimento in più a cui puntiamo ogni volta.
La sincronizzazione è qualcosa di assai importante per la vita quotidiana… al di la del volo degli uccelli, voi che rapporto avete con questa parola?
È la nostra parola preferita, perché già ci rappresentava nella vita di tutti i giorni, prima che tutto quello che avevamo dire confluisse nell’album. Certo non siamo campioni del giro della lancetta ma pensiamo che tutto il nostro percorso abbia a che fare con la condivisione di un obbiettivo e il dare valore alle piccole cose che ogni giorno accadono (anche perché se fosse altrimenti ci saremmo forse già fermati da tempo).
Oggi la vostra carriera fa l’ingresso in INRI: che momento è questo per voi?
Un’opportunità grandissima capitata al momento più giusto e sbagliato allo stesso tempo. Un mese dopo la firma è scoppiata la pandemia, con annullamento di concerti e tutto il resto che immaginerete. Dall’altro lato ci siamo ritrovati in un momento di difficoltà ma circondati da una nuova e importante famiglia, cosa che ci ha stimolato ad affrontare a muso duro questo periodo e ci ha dato una botta di carica incredibile per andare avanti nello scrivere, programmare e sognare in grande.
La scena indie italiana sembra non appartenervi. Dopo tutto questo percorso sapreste spiegare perché questa fuga all’estero?
Perché qua non capiscono l’anglosassono! In realtà abbiamo lottato anni per ritagliarci il nostro spazio anche nella scena italiana, perché con musica come la nostra è più difficile entrare nel cuore degli italiani, ma una volta che ci si riesce il legame che si instaura è fortissimo e anche grazie a Synchronizer questa cosa ci sta venendo piuttosto bene. Detto questo, le fughe all’estero rimangono una nostra specialità e non faremo nulla per trattenerci.