Sunset Strip, Hollywood, California. Seconda metà degli anni ’80. Rainbow Bar & Grill, Roxy, Gazzarri, Troubadour, Cathouse, Whisky a go go. Questo l’hic et nunc del fenomeno musicale (e non solo) più divertente, coinvolgente, eccitante che abbia stimolato i miei sogni di adolescente. Parlo di quello che oggi è chiamato hair metal, ma che all’epoca rispondeva al nome di glam, street, sleaze, AOR, class, pomp, e che per comodità chiameremo semplicemente Glam, da non confondere con il glitter glam di band come Sweet, Slade, New York Dolls e via dicendo. Ed erano tante le band dei miei sogni: Poison, Ratt, Pretty Boy Floyd, Warrant. E poi loro, i Mötley Crüe, e anche gli altri, i Guns N’ Roses. I capelli erano lunghi, cotonati, i jeans aderenti, gli stivali texani di fuori, il make up abbondante, le canzoni erano banali – ma non sempre – le melodie radiofoniche e i riff di chitarra erano killer. Sì, si diceva killer! Ed era tutto così divertente.
Anche Roma volle dire la sua, ed ecco spuntare band totalmente votate alla causa: c’erano gli Skool Daze di Alex Elena (futuro batterista di Bruce Dickinson), gli Wildee, i Talia, i Line Out (poi diventati Dhamm), i Miss Daisy. Anche io ci misi del mio, ma questa è un’altra storia. Avevamo i nostri ritrovi, certo, nulla che si potesse paragonare al Rainbow o al Canter’s (dove si formarono i Guns), ma se nel 1990 foste passati in Via dei Mille presso uno storico negozio di dischi avreste notato qualche “glammettone” contendersi l’unica copia del nuovo cd dei Roxx Gang. C’era l’Esperimento vicino Piazza Barberini, forse l’unico locale che dava spazio alle esibizioni dei Tuff de’ noantri. E poi c’era Piazza di Spagna, ma anche questa è un’altra storia, e che storia…
Poi all’improvviso la tragedia. Foriero di sventura, ecco arrivare lui, Kurt Cobain, e in un giorno finì tutto. I jeans diventarono larghi, gli stivali sparirono in cantina, le camicie divennero di flanella a quadretti, i capelli sempre lunghi ma disordinati, i riff non più killer ma “sbilenchi”, le canzoni e le melodie deprimenti. Roma si adeguò: tutte quelle band variopinte scomparvero, il negozio di cd chiuse, l’Esperimento anche. A Piazza di Spagna scomparve il fioraio e con lui tutta l’allegra combriccola. A Los Angeles i Mötley fecero un disco più o meno grunge, Tommy Lee si rasò i capelli, Sebastian Bach lasciò gli Skid Row.
Il grunge durò poco. Ma il giocattolo si era definitivamente rotto; qualcosa si mosse, il glam americano fece un tentativo di rinnovamento trasformandosi nel cosiddetto bubblegum, portato all’onor di cronaca (non parlerei di successo) da band come Big Bang Babies, Swingin Things o Lovemaker, un sottogenere ancor più sfacciato ma di scarso impatto. Ne è prova che a Roma nessuno volle seguire l’esempio d’oltreoceano.
Gli scandinavi hanno salvato la situazione: quest’ultimo decennio ha visto infatti il Nord Europa imporsi come unico degno erede della scena glam americana degli ‘80, e grazie a band come Reckless Love, Hardcore Superstar, Crashdiet, H.E.A.T., anche le storiche band degli USA sono tornate in pista. E anche stavolta Roma ha fatto sì che si creasse una nuova, piccola, timida scena glam. Certo, i fasti del passato difficilmente torneranno, ma ora ci pensano le Sin of Night, i Lipstick, gli Eyeliner, gli Eazy Vice, i Wicked Starr, gli One Eyed Jack a farci sorridere, divertirci, a cotonarci i capelli, spolverare gli stivali, a metterci la matita agli occhi e a farci capire cosa vuol dire “It’s only rock n roll but…”.
Mi piace pensare, infine, che il grunge, abbia comunque fatto del bene imponendo un lungo e ristoratore periodo di riflessione da cui è nata questa nuova ondata glam che male non fa. Qualche canzone dei gruppi di Seattle, poi, mi piace pure e, diciamo la verità: il disco “grunge” dei Mötley Crüe è meraviglioso!
Umberto Sartini