– di Giacomo Daneluzzo –
Gli Est-Egò, gruppo rock psichedelico torinese, hanno pubblicato alla fine di gennaio il loro ultimo singolo, intitolato “Effetto notte”. Si tratta della seconda release del gruppo dopo la pubblicazione del suo esordio discografico omonimo, un EP uscito nel 2016 da cui i nuovi brani si distanziano, prendendo una piega più vicina alla canzone e dando più risalto ai testi. Ho intervistato telefonicamente Davide, chitarra e voce del gruppo, un artista estremamente consapevole di quello che fa e che incarna pienamente i valori della psichedelia urbana, genere di cui il gruppo si fa foriero, tra frasi pronunciate lentamente e con un tono quasi sussurrato, tipico di chi dà grande valore e presta molta attenzione alle parole da usare, e una necessità tanto di evasione dal quotidiano quanto di espressione del proprio mondo interiore.
Quando mi hanno presentato il vostro gruppo come “psichedelico” i miei occhi si sono illuminati, perché sono cresciuto ascoltando gruppi come Doors, Pink Floyd, The Beatles… Ho sentito qualche vostro brano e sono rimasto molto affascinato da questo mood, da queste atmosfere che evocate, anche perché non è così comune trovare gruppi che oggi in Italia facciano questo genere. Ma forse tu sai dirmi di più, in proposito. C’è una scena psichedelica?
Ho la sensazione che ultimamente il mondo categorizzato come alternative, che esiste tutt’ora, si identifichi con la psichedelia o con la definizione di “psichedelico”. Non so perché, ma c’è proprio un rimando a questo tipo di definizione, di ambiente e di immaginario tipo “seventies”, forse.
Sicuramente c’è un “effetto nostalgia”. Ritrovo abbastanza questa tensione verso il passato nella musica alternativa di adesso: è vero che è presente, in questo senso, anche la psichedelia. Mi viene in mente anche tutto un panorama legato alla musica elettronica, musica house, che riprende certe sonorità, certi spunti psichedelici…
Non sono un cultore dell’elettronica, quindi non saprei. Però sì, sul piano strumentale tra le band che “suonano” mi vengono in mente alcuni nomi, tipo Post Nebbia o molti nuovi gruppi nascenti che ho visto sbucare da questi mesi; guardando a Torino abbiamo Andrea Laszlo De Simone, che prende a mani giunte da questo tipo di sonorità.
A proposito di Torino, com’è messa la scena torinese, oggi?
Ci sono tanti nuovi volti interessanti, molto giovani ed estremamente talentuosi, tipo Fusaro, guardando al cantautorato. Come band mi vengono in mente zYp e Atlante, tutte band che fanno dei live davvero forti. Non sono dei marchettari, gente che scrive cose ammiccanti per arrivare a un certo pubblico, ma band che credono molto nel live e questo è molto figo. Torino è proprio una città che suona.
Quindi immagino che questo sia un periodo in cui questo tipo di gruppi sta soffrendo particolarmente?
Hai voglia. Non so cosa stiano facendo adesso, me li immagino solo a suonare.
Se riaprissero ora voi riprendereste subito con i live o fareste uscire prima altro materiale?
Se riaprissero riprenderemmo subito con i live, ma faremmo comunque uscire anche altro materiale, abbiamo già in mente di farlo. I live sono un po’ l’ultima istanza di questo processo e dare forma a quella vibrazione che abbiamo inciso sarebbe la cosa più sensata. L’incisione, alla fine, è solo una forma mediata, un compromesso, secondo me. La vera forma, la vera formula, la vera svolta è il live.
Questo mi suona in forte controtendenza rispetto a quello che succede adesso nel mondo discografico. Con Daniel Ek, CEO di Spotify, che dice che bisognerebbe far uscire un disco all’anno e continuare a far uscire singoli senza sosta, si tratta di un approccio contro corrente, no?
Be’, far uscire i singoli ha la sua utilità, è un biglietto da visita, anzi, forse più di un biglietto da visita; una voce, una chiamata. Se uno gradisce quello che avviene in questa forma ridotta della registrazione poi va verso la “vera” esperienza che è quella del concerto, secondo me. Seleziona cosa gli piace. Poi la musica ci accompagna anche nelle situazioni quotidiane, meno male che c’è. Però a livello proprio fisico secondo me è un’altra vibrazione, si parla di onde sonore spostate nell’aria, si parla di aria in movimento. Non solo nelle orecchie ma sul corpo. Il live è questo.
Questo è il motivo per cui i concerti in live streaming non potranno mai sostituire l’esperienza di un live.
Eh, sono come i porno. Dopo cinque minuti dici: “Va be’, è andata”.
Nel comunicato stampa viene riportato che le città hanno un loro carattere e parlate di Torino come “magica, algida, elegante, sporca”. Quanto c’è questo spirito di Torino nelle canzoni? Le scrivi tu o è un lavoro collettivo?
Le scriviamo insieme, ma posso risponderti a nome di tutti. Il precedente EP è stato scritto più che altro fuori città e infatti è proprio lontano dalle questioni umane, intime. Eravamo in campagna e nei suoi contenuti non c’è tanto del vissuto dentro Torino. Nella nuova tranche di brani che sta uscendo da quest’autunno, invece, Torino è presente. Però c’è sempre una tensione verso la fuga. Una sorta di amore e odio, indiscutibile, dovuto al fascino allucinante di questa città, alla sua magia, alla sua capacità di irretire, di legarti. Però c’è anche questa necessità di evadere, di prendere una boccata d’aria, di ritrovare il mare, i boschi, le montagne… Perché è una città comunque dannosa, perché c’è un ristagno di avvenimenti, incontri, situazioni… Oltre a tutta la parte ecologica, Torino è una delle città più inquinate del mondo e anche quell’aspetto influenza in modo non sottovalutabile.