– di Naomi Roccamo –
La versione al quadrato de I Mortali vuole probabilmente rappresentare la rinascita a suon di “Musica Leggerissima” di Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce e (Antonio) Dimartino.
La “Musica Leggerissima” vola dal palco di Sanremo e, proprio come era stato letteralmente previsto, “rimane in sottofondo, dentro ai supermercati, la cantano i soldati, i figli alcolizzati, i preti progressisti, la senti nei quartieri assolati che rimbomba leggera, si annida nei pensieri, in palestra, tiene in piedi una festa anche di merda”. Ma soprattutto si piazza fra la consapevolezza de “Il prossimo semestre” e il romanticismo di “Rosa e Olindo”, due brani che, in un modo o nell’altro, hanno accompagnato la nostra estate.
Se non siete nati in Sicilia Colapesce e Dimartino hanno trovato un modo semplice di trasmettervi l’essenza di questa terra, creando un testamento spirituale, tattile, visivo.
Nella prima parte di storia che ci hanno raccontato, in uscita il 5 giugno 2020, il silenzio assordante e l’immortalità si stringono fortissimo e non smettono mai di affiancarsi; nel live movie de I Mortali vediamo i due artisti esibirsi fra i fichi d’India e il mare, immersi nelle “Parole d’acqua”. Due romantici, erranti sì, ma anche figli fedelissimi dei loro paesaggi, di quei colori in cui li vediamo abitare e ritornare.
Sono proprio loro I Mortali, così umani e vulnerabili nei loro completi color pastello, sotto la “Luna araba”, che vede entrare in scena un’artista come Carmen Consoli. Riescono a far percepire la “Noia mortale” dei pomeriggi in provincia durante quell’“Adolescenza nera”, in cui viene anticipata la preziosa intuizione artistica di MACE e dove si riesce a dire che sì, “col sole mi sento immortale”. Dentro questo album c’è una familiarità messa a disposizione di tutti, che si tratti dell’istituto “Majorana”, delle distese bianche della Scala dei Turchi, o dell’odore della posidonia.
Entrambi hanno trovato un pretesto, tramite quella che è la loro musica, per consacrare delle tradizioni e mantenere vivi dei posti, recuperando quella tipica primordialità di una terra già intrisa di miti, usanze e proverbi. Un tempo non si stavano nemmeno simpatici, non si stimavano a livello artistico in maniera particolare, ma lo ammettono in “Cicale”: “Che fastidio che mi dai, compare / Ogni tanto ti farei del male / Ti vorrei lasciare per andare altrove / Sì, lo so che siamo due cicale / Impegnate poco nel sociale / Su una palma tropicale / Perché ci piace il sole e la tranquillità / Ci urtano i rumori dell’umanità / Che a fuoco lento sta bruciando già”.
Ecco però che arriva, il 19 marzo 2021, il sequel di questa intesa fra i due artisti, come una doppia visione di un mondo che era già stato condiviso ; i loro volti presenti nella copertina del primo album si perdono e confondono sullo e con lo sfondo, a rafforzare ulteriormente il senso di appartenenza di cui parlavo sopra.
L’atto di amore di uno nei confronti dell’altro è evidente nella scelta di reinterpretare reciprocamente un brano già scritto e cantato dall’altro. Colapesce lo fa con l’ “Amore sociale” di Dimartino e Dimartino contraccambia con “Decadenza e panna”. Danno un unico contributo ad alcuni brani, come “Totale” e “Copperfield” e come “I calendari” e “Non siamo gli alberi”, già presenti in Infedele ed Egomostro di Colapesce e “Un paese ci vuole” di Dimartino, che una della frasi più riflessive presente ne I Mortali l’ha usata proprio per il suo secondo album: “Sarebbe bello non lasciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile”. Nelle scelta della cover tutta italiana di “Born to Live” di Marianne Faithfull, “Nati per vivere/Born to live”, s’intravede quella loro esigenza di volerci confidare un segreto, motore di tutto l’album : la loro empatia mediterranea non può esser messa da parte, e allora non si nasconde e danza sempre al confine fra qualcosa di estremamente leggero, appunto, ma anche tremendamente grave. Somiglia a un ammortizzatore di cadute che è anche un amplificatore di emozioni, perché quelle, si sa, “neanche Copperfield può farle sparire”.
Colapesce e Dimartino non si contendono dolcemente solo pensieri comuni, ma lo fanno con una voce che è simile al punto giusto sia nell’intento che nell’effetto sonoro e chissà se altrettanto d’accordo hanno scelto di portare a Sanremo “Povera patria” dell’altrettanto siciliano Franco Battiato, una scelta altrettanto mirata.
Solo il sangue e le radici possono creare delle cose così autentiche.