– di Angelo Andrea Vegliante –
Bauli in Piazza che programmazione vorrebbe proporre?
In giro ci sono tanti protocolli. Bisogna proporre per quest’estate una partenza graduale che permetta di rimettere in moto dei meccanismi in sicurezza su tutto il territorio, partendo dalle scuole di danza, che devono fare dei saggi, arrivando agli eventi con 3-5 mila persone. Dobbiamo riuscire a immaginare da una parte delle riaperture graduali che consentano alle persone di lavorare, dall’altra cominciare a far tornare il pubblico in sicurezza. Per noi vuol dire lavoro, per il pubblico tornare alla parziale normalità dei rapporti umani.
A inizio chiacchierata mi hai detto che una delle ferite che state provando è a livello psicologico. Ci sono delle storie che possono essere delle bandiere per l’opinione pubblica per far capire che è importante porre l’accento su tutto questo?
Ti dico la verità: in questi mesi ci sono stati giornalisti e programmi tv che ci chiedevano se potevamo indicargli lavoratori che andassero a raccontare la loro storia di disagio e difficoltà. Noi alcune le conosciamo, però si sono tutti rifiutati. Noi facciamo un lavoro, dal più umile al più importante, dove siamo abituati sempre a risolvere problemi senza piangerci addosso, affrontandoli a muso duro. Non vogliamo fare la tv del piagnisteo, vogliamo essere rispettati come lavoratori, come imprese e come industria di questo Paese che crea ricchezza per sé e per gli altri, comprese le tasse per lo Stato. Se c’è una richiesta di aiuto, deve essere una richiesta di aiuto collettiva. Sappiamo che il malessere fa audience, ma è una strada che non vogliamo percorrere, non solo come categoria, ma proprio come persone. Ognuno con dignità, se può, cerca un lavoro diverso, perché è proprio la dignità che non vogliamo perdere.
Tutto ciò mi fa pensare che la dignità del lavoratore del mondo dello spettacolo non è mai stata riconosciuta come tale proprio livello culturale. Questo è un danno che ci portiamo da prima della pandemia. Immagino che vogliate cambiare anche questo paradigma.
Questo è un tema importante. Ti ricorderai il precedente Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, quando disse che i lavoratori dello spettacolo sono quelli che ci fanno divertire tanto.
E chi se lo scorda.
Quell’espressione dà la misura di come siamo visti: siamo giullari che fanno un lavoro che non è un lavoro, perché nella maggior parte dei casi ti dicono che ti diverti. Per carità, a me il mio lavoro piace moltissimo, ma è comunque un lavoro molto serio. Quello che non capiscono in tanti è che tutto quello che la maggior parte delle persone fa nel tempo libero presuppone che ci siano delle persone che lo organizzano con il loro lavoro. Quindi c’è un’industria vera e propria dietro quel lavoro grande e importante. Ed è una cosa molto seria, come qualsiasi altro lavoro. Produciamo tasse che servono per pagare la sanità pubblica. L’industria del “tempo libero”, della “spensieratezza” e della “cultura” dà da mangiare anche a chi non si occupa di questo. Questa consapevolezza presuppone un cambio culturale importante che forse nel discorso di Draghi c’era, ma che richiede tanto tanto tempo e che forse, quando ci sarà una rappresentanza di settore vera, allora riusciremo a far comprendere.
Ci sono artisti che stanno promuovendo concerti per il prossimo autunno. Voi siete fiduciosi?
Opinione personale: per me è un azzardo che può essere necessario anche per stimolare una riflessione da parte di chi ci governa, però sono basati sul niente, perché non c’è una programmazione. Nel Cts sono in preda alle isterie, nel chiudere tutto perché è la cosa più facile da fare, capisco che per i medici è una soluzione, ma la politica deve pensare anche alle conseguenze e alle sanità. Molti sollevano un tema che però rimane sotto traccia: quanti morti in più avremo per la gente che non va negli ospedali a farsi visitare, a fare i controlli, che salta le visite oncologiche e cardiologiche? C’è anche una comunicazione terroristica che non fa andare all’ospedale. Alla fine della pandemia, quante altre morti avremo per malattie che non sono state curate in tempo? Sono domande che dobbiamo porci.