– di Michela Moramarco –
Fulminacci sceglie di raccontare Tante care cose, in un album (leggi qui la nostra recensione!) composto da dieci brani, alcuni di stampo cantautorale e altri, semplicemente, no. Ascoltando il secondo album dell’artista romano si percepisce una certa attenzione alla tradizione musicale italiana e internazionale, a determinare sonorità fresche e personali. Inoltre, i testi lasciano trapelare come ci sia stata una decodificazione del proprio sentire tradotta poi abilmente in musica.
Ne abbiamo parlato con Fulminacci.
Iniziamo parlando del tuo nuovo album che si intitola Tante care cose, dove per care si può intendere sia “ricercate” che “gradite”. Dunque, in che modo, secondo te, questo titolo si addice ai brani contenuti nel disco?
Il titolo innanzitutto è un augurio, che può essere visto come sarcastico all’inizio, ma nel mio caso è più che altro tenero, nel periodo problematico che stiamo vivendo. Anche la copertina del disco per me rappresenta una sorta di festa, quindi un qualcosa che ora non si può fare, ma che mi auguro si possa tornare a fare presto. Quindi è un augurio che rivolgo a tutti e a me. Tante care cose sono anche un insieme di situazioni, aneddoti, persone e sentimenti che mi stanno a cuore. Ho raccolto queste “cose” all’interno del disco in dieci tracce. Ci sono vari generi musicali ed esperimenti di arrangiamento che mi piacciono e che hanno a che vedere con i miei riferimenti più vari; ma anche nei testi c’è quello che mi è successo in questi due anni, e dal punto di vista professionale che privato. E devo dire che l’aspetto privato questa volta è anche un po’ più dichiarato. Mi sono sentito più libero di farmi conoscere.
I brani di questo album denotano una certa evoluzione artistica, si percepisce che sei “Giovane da un po’” ovvero attento a carpire dal passato quel che è ancora attuale. Hai mai sentito il peso della responsabilità di chi vuole mescolare tradizione e innovazione?
In realtà sì. Quello che faccio è perché mi piace, mi viene naturale. Di certo non ho in mente un piano supremo o un obiettivo professionale stabilito. Le canzoni mi sono venute in mente e sono rimasto soddisfatto del disco. Non so cosa farò. Sono un grande amante del contemporaneo. Tutto quello che voglio fare è imparare ad ascoltare cose e cercare di prenderne il massimo per crearne di nuove e sempre diverse. Al momento non potrei definire me stesso con una parola che indica uno stile. Per il resto non lo so, sono il peggior giudice di me stesso, dall’esterno è tutto più chiaro. Ho fatto canzoni molto diverse fra loro.
A questo proposito, come hai vissuto complessivamente l’esperienza di Sanremo?
È stato, in realtà, bellissimo. Un’esperienza di divertimento puro in cui ho imparato come mai in tutta la mia vita. Una scuola di concentrazione, attenzione e utilizzo delle “risorse energetiche”. Ci vuole un atteggiamento quasi militare per vivere quella settimana. È estremamente impegnativo. Si è sottoposti a numerosi stress ma tutti positivi. Tutto quello che succede è bellissimo in quella settimana. Ma bisogna ovviamente stare sul pezzo. Il rischio svenimento è sempre dietro l’angolo, ma devi fare sì che non succeda. È stata sicuramente un’occasione per allargare il mio pubblico. Mi sono presentato con il brano “Santa Marinella” ma alle cover ho portato “Penso positivo” di Jovanotti per riassumere al meglio il mio gusto. Mi porto a casa un’esperienza perfetta. Sono felice.
Quando si scrive si parla spesso di sé, ma poi il messaggio può arrivare a tutti. Per te è una scelta conscia e volontaria la ricerca dell’immedesimazione dell’ascoltatore o senti prima il bisogno di parlare di qualcosa che è caro a te?
Ci sono casi e casi. Ad esempio, “Un fatto tuo personale” è un brano che ho scritto ascoltando persone e eventi diversi. Il brano parla delle persone, della società, e ho sviscerato la questione a modo mio, proponendo domande più che opinioni. In altre situazioni ho scritto semplicemente dalla pancia. Ci sono pezzi come “Canguro” o “La grande bugia” in cui ho semplicemente buttato fuori quello che il pezzo mi suggeriva. Ho pensato alla musica e poi ho deciso di scriverla, registrarla e poi di ascoltare cosa succedeva dentro di me. Il testo è nato in maniera viscerale e non cervellotica. Questa è una novità del secondo disco. Scrivere vergognandomi di meno. Meno pudore.
“È un atto d’amore rubare le idee”. Ho pensato all’idea di tradimento, ma nel senso buono di consegna al futuro. Mi spieghi come prende vita un tuo brano, a partire anche dalle contaminazioni nell’ascolto? Perché è chiaro che Fulminacci ascolti tanta musica.
Sì, ecco, sono contento che si senta. Hai preso una frase specifica di “Forte la banda”, che è il mio pezzo preferito del disco. Ed è nient’altro che un omaggio alla musica che mi piace. È un brano in cui sono presenti molte citazioni e per questo ho messo quella frase alla fine. Come per dire che non è che non me ne sono accorto, ho fatto delle citazioni perché celebro il pop/rock anni Settanta inglese – ma anche un po’ americano. In più ho parlato dei miei primi concerti e delle persone che si avvicinano e che mi dicono: “Non ti vendere”. Il brano l’ho dedicato alla mia band.
Il mondo non è fatto di nomi quanto di verbi, ma ho notato che nei titoli dei dieci brani di Tante care cose non ci sono verbi. È una scelta casuale?
Molto interessante. Non ci ho pensato. Mi è venuto in mente ora che me l’hai detto. Effettivamente non ci sono mai verbi. Mi hai dato uno spunto di riflessione. Forse dipende da una tendenza contemporanea. I titoli tendono a essere sempre di più delle parole singole. Si tratta forse di un retaggio culturale di cui non mi rendo conto perché lo sto vivendo. Potrebbe essere questo. È estremamente interessante che non si esprimano azioni nei titoli.
E quindi per concludere neanche il tuo primo album La vita veramente contiene un verbo nel titolo. Come te lo spieghi?
La vita veramente è un’espressione che ho voluto utilizzare come augurio che mi faccio, per riuscire a vivere la vita veramente, cioè a essere presente a me stesso nelle circostanze, agire onestamente, senza raccontarmi nella testa quello che sto vivendo. Vivere ogni secondo della vita stando lì, senza giudicarsi dall’esterno.
È una promessa a te stesso?
Sì, e sto riuscendo a mantenerla. La musica permette di dire cose che ti rendono libero.