Random, “Torno a te”
La più grande colpa di Sanremo è di portare i rapper sul palco dell’Ariston. Non per il rap in sé che non ha nessun problema, ma per il popwashing che subiscono. Non si sa perché, i rapper passano tutti a fare pop a Sanremo. Ma pop e rap non sono linguaggi sovrapponibili e non dovrebbero essere affrontati con leggerezza. Random non è un cantante pop, non ha nulla che ci suggerisce il minimo motivo per cui dovrebbe essere credibile come artista pop. “Torno da te” – guarda caso – con le sue vaghissime tinte soul e r’n’b dovrebbe aprire spiragli di carriera nazionalpopolare a Random, che manca completamente di esperienza per reggere il brano, che già di suo ha una fragilissima idea musicale e crolla sotto le mancanze del suo performer. | ▼
Fulminacci, “Santa Marinella”
Fulminacci è bravo e ha talento. Fa il cantautore, stile vecchia scuola, rileggendone gli stilemi in chiave moderna. Per cui da Lucio Dalla prende un certo modo di appoggiare le frasi e da De Gregori un certo modo di pronunciare le parole. “Santa Marinella” scivola sugli accordi di chitarra acustica con grazia, scandendo una melodia tradizionale ma ricca di carisma e fascino. Se non è il colpo di genio che illumina l’Ariston deserto, è una bella prova di carattere e scrittura, che ci conferma ancora una volta come Filippo Uttinacci ha ancora tanto da dire, senza essere l’ennesima copia di una copia. | ▲
Willie Peyote, “Mai dire mai (La locura)”
Willie Peyote, a questo punto, si candida facile per il Premio della Critica. Ereditando la funzione di Daniele Silvestri e presentandosi come una variante di Caparezza per le nuove generazioni, Willie realizza un brano ironico e caustico contro la discografia, l’indie, la televisione, appoggiandosi al famoso monologo di Boris ormai di dieci anni fa. Che sia cambiato poco? o che sia un discorso ormai banalotto? Sta a voi. “Mai dire mai” spinge a sufficienza, puntando il dito qui e là, cosa assolutamente accettata senza traumi, in modo da poter avere le coscienze pulite in casa Rai. Una canzone giusta ma nel posto sbagliato, o forse il contrario. | ☺
Gio Evan, “Arnica”
La confusione che circonda Gio Evan è seconda solo all’odio che lo accompagna. Gio infatti viene chiamato – sempre impropriamente – cantante, filoso, poeta, scrittore. Forse anche lui è un “multipotenziale”, cioè uno di quelli che non sa fare bene nulla, ma è convinto di essere bravo un po’ in tutto. Fatto sta che sul palco di Sanremo ci sta lui, non io, quindi tocca parlarne. La direzione presa è quella di un Cristicchi dell’era social: “Arnica” risente pesantemente della performance di Gio Evan, che – non si sa perché – deve enfatizzare in maniera farsesca il brano, finendo senza fiato al termine del brano. Brano che, va detto, non è brutto, ma che non giustifica di certo gli appellativi di cantante, filoso, poeta, scrittore, che forse è tutto, più probabilmente niente. | ☻
Irama, “La genesi del tuo colore”
Certo che Irama fortunato non lo è. I suoi collaboratori malati di Covid-19 (speriamo senza complicazioni) gli impediscono di presentarsi dal vivo, dovendo riproporre le registrazioni delle prove. Buon per lui, quest’anno l’evento è solo televisivo, il che non gli fa risentire particolarmente la cosa. “La genesi del tuo colore” è una sorta di abecedario di tutto quello che è “giovane” oggi, dagli abusi di harmonizer alle batterie super pompate, il tutto bagnato di un cantato a metà tra l’urban e il pop, tra i melismi esotici e la radiofonia. La canzone se forse non rischia di vincere, sembra promettere l’ennesima conferma discografica di Irama, che – ci piaccia o meno – è la cartina tornasole della discografia di oggi. | ☻