– di Martina Rossato –
Nato a Roma e cresciuto alla Garbatella, Simone Avincola, in arte semplicemente Avincola, è in gara tra le Nuove Proposte di Sanremo 2021. Nel 2020 aveva già partecipato a Sanremo Giovani con Un rider, ma è stata la canzone Goal!, nata durante il lockdown del marzo scorso, a superare la selezione e a portarlo sul palco dell’Ariston.
Da Un rider a Goal! sembra esserci stato un cambiamento di prospettiva, è così?
Sì, in effetti è così e sono contento che arrivi questa cosa. C’è un cambiamento di prospettiva, o meglio, è come se a parlare fosse lo stesso personaggio, che all’inizio è un po’ più malinconico. Fa il rider, che è un’attività comunque complicata e troppo spesso definita poveretta, quando in realtà si tratta di un lavoro a tutti gli effetti; invece in Goal! c’è un sentimento successivo, di rivincita. Ho cercato di comunicare questa presa di posizione con noi stessi. La metafora del calcio mi sembrava quella più vicina alla quotidianità, alla vita di tutti i giorni. Tutti noi siamo un po’ panchinari e ci capita spesso di non entrare a giocare la nostra partita, ma si può sempre entrare in campo.
Nella mia vita non è che io abbia cambiato chissà quale prospettiva o atteggiamento, però c’è una parte di me più malinconica e invece poi una parte che ha preso la sua posizione.
A proposito di rivincita, hai raccontato che a scuola ti era stato assegnato il compito di scrivere una poesia. Quando hai consegnato la tua, la professoressa non aveva creduto che fossi stato davvero tu a scrivere quel testo così bello. Pensi che il sentimento di rivincita, anche nei suoi confronti, sia stato il motore che ti ha spinto a partire?
Sotto sotto è un episodio che mi torna in mente, perché mi ha fatto scattare. Andavo male a scuola, malissimo, quando ci andavo; quindi da parte sua era pure normale non credere che fossi stato io a scrivere quella poesia, quando in realtà io scrivevo già da piccolino. Quella è stata la scintilla che mi ha sorpreso e che mi ha fatto seguire il percorso artistico che mi ha portato poi ad arrivare a Sanremo oggi. Insomma, è pazzesco, ancora devo realizzare.
Come ti senti in vista di Sanremo?
Cerco di concentrarmi il più possibile, poi mi chiamate voi e ritorna l’ansia (ride, ndr). No, nel senso che cerco anche un po’ di distrarmi. Mi sembra incredibile. Per me Sanremo era uno degli obiettivi; ma non è un punto di arrivo, piuttosto un punto di partenza e di passaggio. Però è pazzesco pensare che l’ho sempre visto dentro una tv e ora ci sarò dentro. La consapevolezza di salire sullo stesso palco dove è salito Vasco Rossi, per dire… è un’emozione.
Vasco è un artista che ti ha ispirato molto quindi? Quali sono quegli artisti che sentivi da bambino e ti facevano pensare “voglio diventare come lui”?
Eh be’ sì, ho sempre ammirato molto il senso di riscatto personale di Vasco, il suo voler arrivare a tutti i costi e dimostrare di saper fare. Poi mi è sempre piaciuta la sua musica, le sue parole, la sua poetica. Il primissimo cantautore che ho ascoltato però è stato Guccini. Mio padre ascoltava l’Avvelenata quando ero piccolissimo. Era piena di parolacce e io pensavo “ma allora in una canzone posso essere libero di dire anche le parolacce!”. Quella libertà mi ha fatto cominciare a voler scrivere canzoni. Era un mezzo con cui parlare di me stesso e con cui potevo liberarmi.
Poi hai girato anche un documentario su Stefano Rosso, immagino che anche lui sia stato di ispirazione per te. E ti ha permesso di mettere a frutto anche la tua passione per la regia.
Sì. Quello è un documentario che ho fatto di cuore. Stefano Rosso è uno dei grandi cantautori italiani, ingiustamente dimenticato secondo me. Il fatto di girare un documentario nasce dal mio sogno di essere regista in realtà. Sogno che poi non sono riuscito a realizzare, era troppo complicato, ma non ho abbandonato quella passione. Anche nelle canzoni e nelle storie che racconto cerco di sentirmi un po’ regista. Mi piace riuscire a trasformare la realtà ed essere io a decidere il finale. In effetti, le canzoni che scrivo sono come dei racconti con le loro scene.
Dove ti vedi nel panorama musicale italiano?
Spesso mi chiedono come definisco il mio genere musicale, però mi piace che lo definiscano gli altri. Quando scrivo una canzone non mi precludo nessuna strada. Non so mai dove andrò a finire, che tipo di canzone verrà fuori, che testo o che musica scriverò. Quindi, così come non so mai che cosa succederà quando comincio a scrivere una canzone, non so nemmeno auto definirmi all’interno di un panorama musicale. Sicuramente mi colloco nell’ambito gigante del pop. Però ecco, quello che ho cercato di fare tra l’altro anche nell’album Turisti è stato coniugare la passione per il cantautorato anni ’70 con quello un po’ più attuale. Turisti è una sorta di viaggio con se stessi e con le persone che ci circondano, con l’idea di avere sempre lo sguardo proteso in avanti con curiosità. Un invito ad andare sempre oltre i confini.
Dove ti vedi dopo l’uscita del tuo album e dopo Sanremo?
Eh, non lo so (ride, ndr). Nel senso che sono uno che non ha mai creduto troppo al futuro, che vive molto il presente. Anche il suono della parola futuro mi fa quasi paura. Spero in generale che la situazione in Italia permetta la riapertura dei locali, dei festival e dei teatri perché mi piace andare in concerto e vedere in faccia la gente. Tra l’altro, quello che posso dire è che credo che partecipare a Sanremo sia un privilegio anche per questo: possiamo suonare dal vivo. Non tutti lo possono fare, quindi è anche una responsabilità. Personalmente poi non ho vissuto bene i lockdown passati. Non avendo molti stimoli esterni non ho scritto molto, a parte Goal!. Però devo dire che ha portato fortuna!
A proposito di Goal!, l’idea della metafora calcistica nasce da una tua passione per il calcio?
Come dicevo prima, non so mai quello che andrò a scrivere, quando comincio. All’inizio non sapevo bene che sarei andato a parare sul calcio. L’ambientazione iniziale è una cucina: il pensiero va al lockdown, periodo in cui tutti siamo stati in cucina a improvvisarci cuochi. Dopo però mi è venuta in mente questa cosa del goal. Adesso non seguo molto il calcio, ma da piccolo sì. Sono nato e cresciuto alla Garbatella e lì devi per forza tifare qualche squadra. Però l’idea è stata quella del calcio perché è lo sport che più si avvicina a quella che è la vita. Ci sono i tifosi (che sono gli amici che ti sostengono), poi ci sono le persone che non credono in te e ci sono sfide da vincere. Mi sembrava una bella accoppiata.
Sei molto legato al tuo quartiere?
E’ un quartiere un po’ spaccato a metà. Sono stato fortunato a crescere là perché lì non sei lontano dal centro, ma sei isolato e immerso nella tranquillità. Sono cresciuto proprio nei cortili della Garbatella. La mia passione per il calcio era più questa: giocare al campetto con gli amici tutto il tempo, ogni tanto tirare fuori una chitarra, suonare due accordi e farti sentire, con le persone che ti ascoltano. Si crea una sorta di famiglia.
Quindi hai cominciato a suonare da piccolo?
Sì, suono da sempre. Mio padre mi ha insegnato i primi accordi, poi ho studiato per molti anni chitarra. Ho sempre scritto di nascosto, poi ho cominciato a prendere coraggio e a far ascoltare le mie canzoni agli amici. Grazie a loro ho cominciato a crederci e l’ho presa un po’ più sul serio, fino ad arrivare qui, a Sanremo!