– di Riccardo De Stefano –
Sabato 27 febbraio 2021, a un anno esatto dalla chiusura dei primi eventi live, si è finalmente realizzato il tanto atteso “L’ultimo concerto”, l’evento online che aveva promesso oltre 100 concerti in streaming in tutta Italia, con alcuni dei più importanti nomi coinvolti. Un grande show online, organizzato “dal basso”, nei live club costretti a restare chiusi da anni e in continua difficoltà, trasformati in ristoranti o addirittura falliti nei peggiori dei casi.
Poi la rivelazione: “L’ultimo concerto” non è mai stato pensato per essere un enorme festival frammentato, ma una grande bolla di attesa a cui doveva seguire il silenzio, per sollevare il problema della chiusura dei live club. Una austera schermata nera ci dice che non avremo i nostri show, che non ci sarà ora “nessun concerto” e poi in futuro si vedrà.
IL MOVIMENTO È FERMO
Insomma, “L’ultimo Concerto” si è presentato come un’enorme trollata web, volta a sensibilizzare il pubblico sulla situazione dei live club. Invece degli show, una playlist di video su YouTube (alcuni molto belli, altri piuttosto approssimativi) e un unico messaggio: i concerti non si possono fare ed è inutile che ci speriate.
Anche se, va detto, l’operazione non è proprio riuscitissima. Molte delle persone non hanno recepito il messaggio, o peggio ancora si sono sentite prese in giro, derise delle proprie aspettative e della propria voglia di musica. Con alcune risibili risposte, quali “volevate il concertino gratuito?”, ignorando come comunque il pubblico sia sempre quello che abbia fatto sì che il mercato andasse avanti e la promessa di un mega show gratuita è stata spinta ogni giorno dall’organizzazione de “L’ultimo concerto”, promessa poi rivelatasi vana.
L’intento è giusto, il metodo sbagliato.
Ritengo sbagliato il messaggio de “L’ultimo concerto” perché è stata la prima operazione che ha fermato il movimento e non lo ha portato avanti. Parlando delle tante attività portate avanti nell’ultimo anno, l’annuncio della nascita di “La musica che gira” ha rappresentato il primo atto di un nuovo movimento – letteralmente un passo avanti – in cui tutti quelli che prima pensavano ai fatti loro ora si trovavano insieme. Eventi come “Bauli in Piazza” invece ci hanno colpito in faccia, con il loro simbolismo, facendoci capire che anche se se ne parlava poco, chi organizza eventi li sa ancora fare, bene, a norma, senza problemi, che si può fare qualcosa.
“L’ultimo concerto” ha bluffato, ci ha detto che non si può realizzare quanto promesso: fino a qui, il messaggio portato dalle tante realtà è stato positivo – o propositivo, se preferite – un modo per attirare l’attenzione e dire che le cose si possono continuare a fare; stavolta, il messaggio è stato “negativo”, aver preso delle aspettative create ed averle disattese.
NOI (NON) FACCIAMO EVENTI
“L’ultimo concerto”, grazie alla sua idea di base, aveva già smosso l’attenzione generale, vedendo quanto e come era stata ripresa la notizia anche dalla stampa generalista – a ben donde, guardando il numero di artisti coinvolti – e l’hype che tutto il pubblico aveva a riguardo. Quindi, qualsiasi tipo di evento che sarebbe accaduto alle 21 di sabato avrebbe avuto impatto e forza sulla scena, sia nel caso di conferma dell’evento, sia in caso di totale fallimento.
Il problema è che è mancato proprio “l’evento”: a pensarci, a mente fredda, l’idea di un mega show in streaming, con centinaia di live in contemporanea, era talmente avanguardista e impegnativa che pensare di farla gratuitamente era folle. Fermo restando che, almeno io, l’avevo ricollegata un po’ ai tanti fondi tirati su in questi mesi come quelli di “Scena unita” e a un complessivo regalo degli artisti, venuti a zero budget, ma calcolare una macchina live, che realizza in streaming una cosa così importante, era tanto romantica quanto ingestibile.
Forse proprio per questo la delusione: non abbiamo perso il “concertino gratuito”, abbiamo mancato l’occasione di fare la Storia, di far vedere che il mondo dal basso può proporre qualcosa che i grandi colossi – tipo quelli di Heroes a Verona – non sono riusciti a fare. Invece niente, la Storia è finita, nessun Gran Finale, “così il mondo finisce, non con uno schianto ma con un lamento”. Un altro passo falso, siamo pur sempre la periferia dell’Impero, che senso ha anche sperarci?
E non basta dire “purché se ne parli”: allora, immaginiamo di dare fuoco ai live club, in diretta, così che se ne parli tantissimo mentre il tutto cade ridotto in cenere. Creare una speranza e infrangerla o è crudele, o è sciocco. Come d’altronde lo è intestardirsi nell’accusare chi “non ha capito” l’operazione di non pensare ai tanti lavoratori dello spettacolo in difficoltà da un anno, puntando il dito senza ricordarsi che davvero tutti sono stati colpiti da questa situazione agghiacciante, compreso il sottoscritto.
AD MAIORA
Personalmente, penso solo che l’operazione poteva essere fatta meglio, ed è una critica accettabile o meno. Avrei preferito un evento, qualcosa dove qualcuno ci metteva la faccia, magari un’ora di silenzio da parte degli artisti sui palchi vuoti, qualcosa di disturbante, anti-musicale, di impatto. Sarebbe servito qualcosa dove il pubblico non veniva preso in giro, ma reso partecipe del dramma: non è colpa del pubblico se i live club sono chiusi, e questo è chiaro a tutti. Allora, per coinvolgere il grande pubblico, fate sentire la voce di chi è in crisi – anche senza musica, anche senza concerto. Fate salire sui palchi dei live club gli artisti coinvolti e fateli tacere: parlano solo gli addetti ai lavori. O nessuno, tutti zitti. Allora davvero si capisce l’assenza di uno show, quando lo show esiste ma è disturbante, spiazzante. L’assenza sembra suggerire la resa, così.
Poco importa, ormai è andata. Stare qui a sindacalizzare su come potevano essere fatte le cose certo non migliora la situazione. Pare – così dicono – che comunque l’anti flash mob (non saprei come chiamarlo) abbia attirato l’attenzione delle istituzioni e sia servito al suo scopo, cioè raccontare l’agonia di un mondo dimenticato da chi sta in alto. Questo era l’obiettivo ed è stato centrato. Il resto serve solo a farci discutere, ad alimentare tensioni che ci fanno allontanare quando davvero, ora più che mai, serve restare compatti a supporto della causa.
In fondo, “solo chi non fa nulla non sbaglia”, quindi grazie a tutti quelli che continuano a sollevare la voce, perché comunque abbiamo bisogno di voi. E magari, la sorpresa più bella deve ancora arrivare, chi lo sa. Sperare costa poco.