di Manuela Poidomani
Ad oggi sembra che il problema maggiore dell’industria musicale sia costituito dal dibattito tra la presenza o meno del pubblico a Sanremo. Probabilmente se io fossi una musicista o un’attrice o una qualsiasi lavoratrice del mondo dello spettacolo, in questa situazione, mi sentirei profondamente offesa. Ma allo stesso tempo se dovessi gareggiare tra i big o i giovani, mi sentirei delusa e spaesata nel sapere che davanti a me non ci sarà nessuno a cui poter trasmettere le mie emozioni, le mie parole e la musica su cui ho speso tanto lavoro.
Quindi la mia riflessione parte da questa domanda: è giusto chiedersi anche solo se sia giusto parlarne?
Nel 2020 l’industria dello spettacolo europeo ha perso circa il 90% del reddito, mentre la musica il 76%. Chi ripaga questo disastro culturale, oltre che economico? Assolutamente nessuno e tanto meno lo Stato che sembra non preoccuparsene più di tanto. Dal secondo lockdown si è deciso di chiudere, ancora una volta, cinema, teatri e spettacoli dal vivo e dopo più di tre mesi nessuno ha speso una parola sulle attività culturali, che per quanto abbiano una profonda e radicata importanza nella nostra società, vengono ancora oggi considerate non essenziali. E da qui nasce il discorso che voglio trattare. Il 28 gennaio il Ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, pubblica un Twitter con scritto: “Il Teatro Ariston di Sanremo è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito ieri il ministro Roberto Speranza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile”. A questa profonda intimazione il direttore artistico e conduttore del Festival, Amadeus, si è lasciato a polemiche dichiarazioni che non hanno lasciato intendere a una volontà di compromesso con ciò che era stato decretato dal Comitato tecnico scientifico: o in sala poteva esserci la presenza di figuranti oppure lui stesso decideva di fare un passo indietro compromettendo la realizzazione dell’evento, da sempre e da chiunque, considerato come la pietra miliare della musica italiana.
Questi erano i fatti da cui ho cercato di pormi domande e consequenzialmente risposte. Se da un lato ho trovato questa richiesta come un capriccio inutile di fronte a una situazione già drammatica di per sé, dall’altro mi sono chiesta come mai la televisione italiana nel 2021 faccia una distinzione netta tra i diversi programmi. A questo proposito ho trovato interessante un’osservazione del giornalista Andrea Laffranchi che proprio l’altro giorno rispondendo al Twitter di Franceschini sui suoi social scrive: “Sanremo come uno zombie. Perde un pezzo al giorno. O si blocca tutto quello che ha figuranti e quindi anche gli show tv oppure si concede a tutti (dalla Scala a Sanremo) di avere pubblico finto indipendentemente dal luogo”. Affermazione che mi ha fatto riflettere su quanto ad oggi possa essere più conveniente un programma come “il Grande Fratello” o “Uomini e Donne” rispetto a un qualcosa che stimola creatività e che possa essere il vero simbolo di ripartenza rispetto a un mondo che a oggi sembra essere ingiustamente lasciato nel dimenticatoio. Se guardiamo l’altra faccia della medaglia, certo, l’idea di figuranti o meno come primo problema irrimediabile ed esistenziale, fa piuttosto incazzare tutta la gente ferma da più di un anno in rispetto a tutti quei settori che nel nostro paese ad oggi hanno priorità (vedi quello sanitario). Quindi se vi state chiedendo se sia arrivata ad una conclusione rispetto al giusto o sbagliato della polemica iniziale, la risposta è assolutamente no; e probabilmente neanche Amadeus, gli organizzatori del Festival e il Cts. Perché una cosa è certa: il Festival di Sanremo 2021 si farà anche solo in rispetto alla macchina da guerra musicale che essa stessa rappresenta ed è necessaria al nostro paese.
E forse tutta questa situazione ha fatto riflettere anche me. Non è costruttivo sempre e solo giudicare le scelte e le idee altrui; non è sensato trovare ad ogni cosa un giusto o uno sbagliato. Se da un lato le motivazioni di Amadeus sono giustificate per la tutela di chi il Festival lo fa, dall’altro la coerenza della tutela come status symbol non può fare distinzioni per i diversi “poteri gerarchici”.