– di Benedetta Minoliti –
Venerdì 27 novembre i Legno hanno pubblicato, per Matilde Dischi / Artist First, il loro secondo progetto discografico, dal titolo Un altro album.
Oltre all’album è stato pubblicato anche un fumetto che vede Legno Triste e Legno Felice vestire i panni di due supereroi, ovviamente mascherati e misteriosi.
Un altro album è un disco che parla d’amore, fil rouge che lega tutt’e tredici i brani, ma anche d’amicizia e di rapporti umani. Un progetto interessante, come la chiacchierata che abbiamo fatto con Legno Triste, che ci ha raccontato diverse cose sul nuovo progetto discografico del duo e ha anche fatto un salto indietro nel tempo con noi.
Prima di cominciare a parlare del nuovo album, vorrei chiederti: com’è nata l’idea del fumetto?
Sia io che l’altro Legno siamo amanti dei supereroi. Poi, fondamentalmente, chi non ha mai sognato di essere un supereroe? Oltre a questo, volevamo dare più valore al disco fisico. Oggi la musica è tutta liquida, un po’ “usa e getta”. Invece, in questo modo, può essere un modo anche per spronare i fruitori a comprare il disco, perché rimane davvero qualcosa di materiale, di bello ed esclusivo, se vuoi.
Insieme all’album è anche uscito un singolo, Delia. È un brano che considerate il file rouge del disco e ha una storia interessante, perché Delia esiste davvero, è una vostra fan. Qual è la storia di questo brano?
In questo brano abbiamo raccontato proprio la storia di Delia, lei si chiama davvero così. È una delle nostre fan, si è legata a noi fin dall’inizio ed è nata anche una bella amicizia che va al di fuori del progetto Legno. Questa canzone racconta di un momento un po’ particolare che stava vivendo, tra l’università e una relazione che stava finendo. Ci ha raccontato questo momento e questi flash sono diventati una canzone che abbiamo dedicato a lei. Ma come lei ci sono tante “Delie” che hanno passato momenti difficili. È stato bello raccontarlo e noi raccontiamo spesso di storie che parlano non solo di noi, ma anche di chi ci segue. Ci sentiamo un po’ Alberto Castagna quando faceva Stranamore (ride, ndr).
Avete un bellissimo rapporto con il vostro pubblico.
Sì, è fondamentale avere un rapporto con le persone. Noi passiamo il giovedì notte a rispondere a tutti quelli che ci scrivono. Il concetto è che tutti meritano una risposta, è fondamentale per noi e per quello che facciamo. Noi scriviamo per arrivare alle persone. Se qualcuno ci dedica del tempo anche noi vogliamo dedicargliene. Per noi sarebbe anche un po’ irrispettoso non farlo.
Questo è bello, perché i social uniscono, ma allo stesso tempo creano una barriera con gli artisti. Arrivano così tanti messaggi che uno fa fatica a rispondere…
Abbiamo la fortuna di essere in due, ci dividiamo i compiti (ride, ndr). Però davvero è fondamentale mantenere il contatto con il pubblico. Poi i fan stanno crescendo sempre di più, quindi diventa sempre più difficile, però cerchiamo davvero di essere sempre presenti.
Visto che ci stiamo avvicinando al Natale, c’è un brano nel vostro nuovo album che si chiama Una canzone di Natale. Quest’anno sarà tutto molto diverso. Ti rigiro la domanda che voi fate nel brano: chi ci salverà? Abbiamo bisogno di un supereroe per la fine di questo 2020?
L’unico supereroe che ci può salvare quest’anno, secondo me, è il buon senso. Deve essere un super potere che dovremmo avere tutti. Bisogna stare attenti. Stiamo vivendo un momento difficile, però solo col buon senso, e rispettando le regole, riusciremo un domani a lasciarci tutto alle spalle. Questa canzone tra l’altro è stata scritta in questo periodo e abbiamo deciso di inserirla nell’album. Il brano risale a due Natali fa e l’avevamo fatto per WhatsApp. Era una sorta di catena. Hai presente quando ti arrivano i gattini e i cappellini di Babbo Natale? Ecco, volevamo creare una catena nostra. E infatti avevamo fatto girare la canzone tra i nostri contatti e attraverso un contest sui social. Adesso ci sembrava il momento giusto di farle uscire, perché anche se c’è quest’anno c’è un retrogusto particolare, Natale è sempre Natale.
Come avete vissuto le chiusure? Il vostro disco è uscito quasi alla fine del secondo “lockdown”.
Noi eravamo abbastanza consapevoli, quando abbiamo deciso di uscire, che sarebbe stato diverso. Però volevamo anche lanciare un messaggio: l’arte non si ferma. Bisogna stare attenti a non avere paura del momento. Se avessimo avuto paura ci saremmo dovuti fermare ancora e aspettare qualcosa che in realtà è incerto. Era giusto secondo noi in questo momento così particolare far uscire questo disco, con tutti i problemi del caso. Fortunatamente con le nuove tecnologie riusciamo comunque a lavorare e stare accanto ai nostri fan.
Voi lavorate molto per immagini. Ci sono tanti riferimenti, sia letterari che musicali: i Doors, Charlie Brown, Dylan Dog. Avete letto o ascoltato qualcosa in particolare che vi ha ispirato per il disco?
Noi fondamentalmente siamo ispirati un po’ da tutto quello che ci circonda. Non facciamo altro che raccontare quello che ci frulla per la testa. Siamo sicuramente grandi amanti dei cantautori e dei fumetti e cerchiamo di buttarli nelle canzoni. In Affogare c’è una citazioni a Baglioni, in Patatine fritte c’è una citazione a Vasco. Cerchiamo sempre di fare citazioni ai grandi cantautori perché è proprio il nostro modo di esprimersi in musica.
Ad un certo punto in Sto in fissa per te dice: “Odio le playlist, quelle fighe con le hit”. Però voi siete finiti spesso in alcune tra le playlist considerate “prestigiose” per gli artisti su Spotify, come Scuola Indie.
È vero (ride, ndr). La canzone parla di un ragazzo che in quel momento è in fissa con una ragazza e odia tutto, anche le playlist fighe con le hit. C’è stato un momento, nella prima parte del lockdown, in cui nessuno era abituato a quello che stava succedendo, che anche le cose belle non ce le siamo godute appieno, abbiamo odiato anche questo. Nei momenti difficili a volte è veramente complicato riuscire a godersi anche le gioie che arrivano. E un po’ come quando due si lasciano: tutto quello che ti sembrava bellissimo, prima lo odi.
Ti porto un po’ indietro nel tempo: andiamo all’Ohibò, al vostro concerto nel 2019. Il Circolo Ohibò ha chiuso e purtroppo mi immagino che chiuderanno anche altri spazi. Non abbiamo la palla di vetro ma, secondo te, cosa succederà? Nasceranno dei posti nuovi? Sceglieremo degli spazi nuovi o dovremo abituarci a fruire i concerti in modo diverso, per esempio in streaming?
Guarda, mi auguro fortemente non la terza ipotesi. I concerti in streaming hanno una freddezza disumana e disarmante. Poi ovvio, uno in un momento del genere se li fa garbare. Anche noi li abbiamo fatti volentieri, ma mi auguro veramente che chi deve dare degli aiuti pensi a questi posti e dia loro la possibilità di riaprire. Sono luoghi che hanno fatto la storia della musica. Noi, poi, all’Ohibò siamo molto legati, perché è stato il nostro primo vero concerto. Spero di poter rivedere questi posti rifiorire di nuovo. Non so quanto sarà facile, forse è un sogno, ma mi auguro di vedere tanta musica dal vivo nei locali che in qualche modo hanno sempre dato spazio a chi a volte lo spazio nessuno glielo dava.
Tornano a parlare del disco, vorrei parlare delle due collaborazioni presenti in Un altro album: Instagrammare con i rovere e Hollywood con Wrongonyou.
Sono nate entrambe in modo naturale. Con i rovere eravamo in lockdown e, anche nei mesi prima, ci scrivevamo: “Dobbiamo fare un pezzo insieme. Legno – rovere, si va a registrare all’Ikea” (ride, ndr). Da lì è nata un’amicizia a distanza e poi abbiamo scritto questo pezzo. Con Wrongonyou invece eravamo in Warner insieme, durante una writing session di brani per altri artisti, abbiamo scritto Hollywood e ci siamo detti: “Perché non la cantiamo insieme?”. Funzionava ed era giusta per raccontare il feeling che si era creato tra di noi.
Vorrei tornare ad un concetto di cui abbiamo parlato un po’ all’inizio, quello del rapporto coi fan. Voi avete detto che con questo disco è come se vi foste tolti la scatola per farla indossare a chi vi ascolta.
Noi cerchiamo sempre di spogliarci di quello che indossiamo ogni giorno per far vedere che il mondo da scatola è diverso. Io faccio musica da diversi anni e mi rendo conto che da quando ho messo la scatola riesco ad essere più me stesso con quella in testa che senza. Vogliamo far arrivare in primis la musica, senza far vedere chi siamo. A volte indossare una maschera ti tutela e ti permette di far arrivare prima le canzoni, senza pensare all’apparenza e a tutto quello che la società attuale spesso ci impone.
C’è un brano di questo disco a cui ti senti particolarmente legato?
Sì, direi Patatine fritte, perché è quello che lega questo progetto al disco precedente. Nel primo disco c’è un pezzo che si chiama Maionese, e Patatine fritte è un po’ il continuo. In questi due pezzi esce un po’ la vena malinconica che contraddistingue le nostre canzoni. Poi ovviamente siamo legati a tutte le nostre canzoni, anche perché “ogni scarrafone è bello a mamma sua” (ride, ndr).