– di Giacomo Daneluzzo –
Famoso. Anzi, FAMO$O, se vogliamo rispettare la grafia della copertina; leggi: “Sfera Ebbasta farà parlare ancora di sé”. Nel bene e nel male, Sfera Ebbasta è diventato in Italia un simbolo riconoscibile e riconosciuto, con una serie di significati che non può più evitare di portarsi dietro. L’esperienza televisiva come giudice di X Factor 2019, in un paese come questo, in cui la televisione ricopre un ruolo fondamentale, non si poteva evitare; è stata “riabilitante”, in un certo senso, soprattutto dopo l’episodio della cosiddetta “strage di Corinaldo”, per quanto i giudizi negativi sul suo lavoro non siano affatto cessati. Da milanese, ho assistito all’ascesa di Sfera Ebbasta fin da tempi insospettabili: era il 2015 quando qui si iniziava a parlare di lui, dell’inseparabile beatmaker Charlie Charles – che ora, in Famoso, ritroviamo ancora, ma in veste di direttore artistico e produttore esecutivo – e di XDVR, il suo esordio in studio pubblicato da Roccia Music, nota per essere l’etichetta di Marracash. Già allora, secondo molti, se ne parlava fin troppo. E qualcuno già intravedeva che cosa sarebbe successo.
Ciò che è successo è questo: Sfera Ebbasta è diventato “pop”, ha contribuito a definire i canoni contemporanei del mainstream italiano e ora si preoccupa di tenersi il suo posto al caldo, consapevole che non può vivere di rendita per sempre. E se c’è qualcosa che ha imparato è che il rinnovamento è essenziale per rimanere al top. Qualcuno dirà che non c’è un grande rinnovamento, che i testi veicolano ancora lo stesso tipo di contenuti, che il genere alla fine è sempre lo stesso… Sì, può anche essere vero, ma è ragionevole pensare che sia questo il tipo rinnovamento di cui si preoccupano Sfera Ebbasta, il suo pubblico e in generale il mercato attuale?
Sfera Ebbasta, al secolo Gionata Boschetti, ha dimostrato più volte di saper fare quello che fa. È inutile accanirci, dire che non ha contenuti e accusarlo, più o meno implicitamente, di non essere un musicista “vero”: la definizione di musicista forse può essere più elastica di quanto si creda, inoltre non credo importi davvero a qualcuno di critiche come queste, se non a qualche fan bellicoso. Ma che significati si porta appresso un disco come questo? Provando ad ascoltarlo, rimuovendo il più possibile ogni tipo di pregiudizio che potessi avere nei suoi confronti, la mia impressione è che il rinnovamento ci sia e che non si fermi alle numerose collaborazioni internazionali. Il singolo di lancio Bottiglie Privè già era un segnale del fatto che stesse accadendo qualcosa di anomalo nel percorso del trapper di Cinisello Balsamo: unica traccia del disco prodotta da Charlie Charles in persona, Bottiglie Privè riesce a essere in linea con lo stile lirico e musicale di Sfera Ebbasta, ma allo stesso tempo a portare un mood un po’ più sostenuto, con un testo (per così dire) “più serio” del solito e con un pianoforte – un pianoforte vero, eh! – suonato dal pianista Max D’Ambra. Liquidare i testi di Sfera come “privi di contenuti”, oltre che, a mio avviso, non del tutto corretto, è fuori luogo: è la presenza o meno di contenuti a determinarne la validità o l’interesse che genera in tutte le persone che li ascoltano, li imparano a memoria e vi si ritrovano? Davvero qualcuno pensa che i ragazzini cerchino questo, i contenuti, nella musica che ascoltano?
Ovviamente no. Però il fenomeno Sfera, più in generale il fenomeno trap, fa paura a molti. Fa paura perché ci mette di fronte, come società, alla narrazione della nostra noia quotidiana e del nostro malessere esistenziale, del nostro imbruttimento, della nostra perdita di “spessore” e del nostro rifiuto di quei valori che un tempo erano ritenuti validi, come guida delle nostre scelte. Questi, i valori, nell’estetica trap sono rimpiazzati da “valori non valori”, ovvero dei topoi del genere che ne rappresentano l’essenza tematica, privati dei loro significati originari e presi proprio come delle forme a cui attenersi a priori, e che potremmo riassumere con questi “punti cardine”: il successo (rappresentato soprattutto attraverso i soldi e l’altrui disponibilità sessuale, ma non solo), una sorta di spirito di fratellanza, il passato di strada, gli attacchi ai detrattori, il malessere.
Vorrei concentrarmi sul malessere, perché dal punto di vista lirico probabilmente è ciò che, inaspettatamente, emerge più spesso in Famoso, a volte tra le righe, a volte meno. I casi più eclatanti sono proprio Bottiglie Privè, che, seppur con un linguaggio abbastanza scarno e senza scendere in profondità, racconta di un malessere legato a doppio filo con la crescita del successo (“Mi hai visto sorridere sopra uno yacht / E pensi sia tutto okay, pensi sia tutto a po- / Ma non è un cazzo a po-, son cambiato da un po’”, “Mi guardi e mi dici: ‘Per me sei lo stesso di sempre’ / Ma so che mi menti e non capisco perché”), e Male, che descrive in modo sorprendentemente lucido e accurato il malessere di una relazione che sembrerebbe avere dei tratti piuttosto tossici (“Tu mi fai stare male, a tutte le ore / Mi vien voglia di fumare, di farmi del male”). Ma non sono certo gli unici esempi: in Hollywood – forse la traccia musicalmente più riuscita del disco, grazie alla collaborazione col noto produttore internazionale Diplo – affianco alle vibes allegre e spensierate (“Volevo solo dirti che oggi sono happy”, “Avevo dei problemi, adesso non ce li ho più”) compaiono barre sorprendentemente cupe: “E qua vivi o sopravvivi mentre prendi da bere / Puoi essere una stella o guardare le stelle cadere quaggiù / Dove non ci sono eroi e ci sei solo tu / Ed è solo un altro stupido giorno ad Hollywood”. Malinconico, vero?