– di Giacomo Daneluzzo –
>> LEGGI LA PRIMA PARTE <<
Mi sono informato sull’origine del nome “Voodoo Kid” e ho scoperto che da una parte incarna l’assenza di genere e la fluidità della Generazione Z, dall’altra è un omaggio a Jimi Hendrix e al suo iconico brano Voodoo Child (Slight Return). Ho pensato che ci fosse una certa influenza, nel tuo lavoro, del “vecchio rock”, impressione confermata dal tuo brano Satisfaction, che riprende (I Can’t Get No) Satisfaction dei The Rolling Stones. Come sei influenzata da questo mondo e da questo immaginario?
Ho iniziato a suonare con la chitarra. Gli assoli più belli per chitarra, se non ci si vuole spostare su blues e jazz, sono nella “grande famiglia” del rock: dai Led Zeppelin agli Oasis, ma anche Arctic Monkeys, The Beatles, David Bowie… Ho iniziato a suonare Jimi Hendrix – sono tutt’ora una grande fan di Jimi – e facevo Purple Haze, Foxy Lady, Voodoo Child… Da qui nasce Voodoo Kid. Sia dal punto di vista lirico che nella produzione resta qualcosa del mio background, di ciò che ascoltavo prima, anche se ora ascolto molto più R&B e soul. Ho anche avuto una fase metal (ride, ndr), ascoltavo i Metallica… Mi fisso su certe cose: ci sono state uscite grosse, come gli album di Dua Lipa e di The Weekend, ma io sono ancora ferma a channel ORANGE di Frank Ocean, lo riascolto sempre.
Che cos’è cambiato nel tuo percorso artistico da Come quando fuori piove? Il progetto ha preso direzioni nuove, che non ti saresti aspettata?
In realtà sta andando tutto secondo i piani (ride, ndr). C’è stata un’evoluzione della mia persona, del mio personaggio. Come quando fuori piove è uno dei miei pezzi preferiti, mi sento molto in linea con quel pezzo e ci sono molto legata.
Hai studiato in Inghilterra e questa “formazione estera” in amor, requiem, l’ho sentita parecchio, soprattutto a livello di sound e di attitudine. Certo, è scritto in italiano, ma lo percepisco come qualcosa di non del tutto italiano. Che tipo di ricerca, di studio sulle sonorità, c’è stato?
È tutto molto spontaneo; si tratta di un mix di produzione analogica e digitale. Sulla ricerca di suono, c’è un suono in particolare che chiamo “chitarra stile Morricone”, che c’è in vari pezzi, tra cui Domino e Non è per te – il mio producer quando doveva scrivere il nome dello strumento sul progetto ha scritto “chitarra flamenco” (ride, ndr). Anche in altri brani ci sono accordi che ricollego a Ennio Morricone. Dal punto di vista lirico c’è una certa ricerca, soprattutto in certi pezzi. Per esempio Requiem è un pezzo che considero molto importante, perché parla di qualcosa che mi ha toccato molto; è stata scritta di getto, ma lo ritengo uno dei miei pezzi più riusciti. Non per questioni di marketing o di quanto possa piacere alle persone, ma perché la sento molto mia, per come ho scritto il testo e per le melodie che ho usato nel ritornello. Penso che tra tutti i miei pezzi sia il più ricercato, anche dal punto di vista del sound – anche lì ci sono le chitarre che ti dicevo prima, c’è un Wurlie qua e là, ma anche dei suoni di Nord molto evocativi, l’organo all’inizio con effetti come Chorus Flanger e Cabinet, che sono tutte sonorità che fanno parte di me da sempre e sono uscite in modo naturale quando stavo componendo.
Sono stata molto influenzata dalla scena inglese, dal vivere a Londra e dagli studi che ho fatto. Ho imparato cose che non immaginavo, a essere matura e attenta nei confronti di un certo tipo di ricerca del suono. Sono salita che suonavo la chitarra e facevo le canzoni così e sono scesa che ero James Blake, capito? (ride, ndr) All’inizio ero Alex Turner (leader degli Arctic Monkeys, ndr) al primo album, quando sono tornata ero magari non Bon Iver, ma James Blake. Non penso che potrei mai essere Bon Iver… Neanche James Blake, però mi vedo più vicina a lui come sound e modo di produrre, soprattutto nel suo ultimo disco, Assume Form, in cui ci sono dei pezzi anche un po’ trap, tipo quello con Travis Scott e Metro Boomin, Mile High. In quell’album ci sono davvero dei pezzoni. Sarei dovuta andare a sentirlo al Club To Club di Torino, ma alla fine ho avuto degli impegni di lavoro e non ho potuto… Peccato.
E ormai è andata, visto che non ci sono più concerti…
No, dai, speriamo che entro un anno si possa riprendere tutto.
A proposito di questo periodo drammatico per il mondo dello spettacolo: i live sono fermi per la seconda volta e il settore inizia a essere in crisi. Sicuramente far uscire un disco in questo periodo è una scelta coraggiosa, non potendolo portare in live. Vedo l’uscita del tuo album d’esordio in questo periodo come un segnale, un messaggio, come a dire che gli artisti ci sono, continuano a produrre e a pubblicare, a far sentire la loro voce.
Sono d’accordo al 100%. Vuol dire questo, vuol dire: “Non fermiamoci, non facciamoci fermare da chi vuole chiudere i posti in cui si possono fare performance live”. Sia in ambito musicale, che teatrale, che cinematografico. I resoconti ufficiali dicono che in questi luoghi c’è stato un solo contagio verificato, mentre a momenti non siamo neanche riconosciuti come lavoratori.
Forse se non fossimo costantemente connessi all’arte attraverso internet saremmo meno tranquilli a vedere chiudere, peraltro per primi, i teatri, i cinema e le sale da concerto…
Penso la stessa cosa. Avevo pensato di chiudere tutto e non pubblicare più niente. Però dovremmo metterci d’accordo e farlo tutti, perché non cambia niente se lo faccio io: bisognerebbe chiudere proprio tutto, cancellare Instagram, tutti i profili social… Quando le persone non ci sono davvero più si sente la loro mancanza. In questo modo si sentirebbe la nostra mancanza.
In effetti qualcuno lo sta facendo, per esempio la compagnia teatrale Oblivion, abbastanza nota su YouTube, ha oscurato completamente la propria presenza in rete, per mandare un segnale di questo tipo.
Li conosco, loro, mi fanno molto ridere e condivido molto il loro gesto. Da una parte la penso completamente come loro, penso davvero che dovremmo tutti fare lo stesso. Penso che sarebbe una differenza reale, che si sentirebbe. Dall’altra, però, se lo facciamo noi emergenti non cambia proprio niente: dovrebbero iniziare artisti del calibro di Fedez. Inoltre penso che dobbiamo anche far vedere che ci siamo, che siamo qui, e continuare a farci sentire, in questo periodo di forte crisi. Loro vogliono chiuderci, noi rispondiamo come possiamo.
Sono d’accordo con te, anche se non è sempre riconosciuta, l’arte è qualcosa di fondamentale nelle vite delle persone. Non c’è mai stato così bisogno di andare a sentirsi le canzoni su internet, di guardarsi film o spettacoli in streaming. Pubblicare materiale in questo periodo, secondo me, è un grande servizio alla società.
Esatto. L’arte e la cultura sono il cibo dell’anima. Dobbiamo ripartire dalla nostra forma mentis, altrimenti non si ripartirà più…
Nella bio del sito di Carosello Records c’è scritto che la musica è un mezzo espressivo che ti ha aiutato a superare le difficoltà date dalla dislessia. Come può la musica aiutare le persone a superare questo e altri tipi di difficoltà?
Io sono dislessica, disgrafica, discalculica e ho disturbi dell’attenzione: se ci fosse, poco distante, una persona che parla con un’altra, mentre facciamo quest’intervista, sbarellerei. Per me è la dislessia – ma anche la depressione e altro – ma per altri può essere un’altra forma di disabilità: infatti ritengo la mia una forma di disabilità al 100%. Ogni persona dovrebbe trovare il proprio metodo di apprendimento e il proprio modo per superare le proprie difficoltà, come l’ho trovato io, grazie a Dio. Bisognerebbe smettere di generalizzare e concentrarsi sulle singole persone. Da bambina facevo tantissimo sport e quando, alle elementari, tornavo a casa alle sei di sera dalle giornate in cui andavo a sciare ero stanca morta e non avevo voglia di recuperare quello che avevano fatto i miei compagni a scuola nella giornata in cui ero mancata. La mia mamma allora mi leggeva le cose ad alta voce; io l’ascoltavo e imparavo. Fino alla fine del liceo ho avuto insegnanti che mi leggevano le cose ad alta voce per farmele imparare. Mi hanno diagnosticato la dislessia solo in quarta superiore: ho fatto qualche seduta, mi hanno fatto fare un test e poi hanno detto a mia madre: “Sua figlia è gravemente dislessica, ma in tutti questi anni è riuscita a bilanciare la dislessia con un quoziente intellettivo superiore alla media e un metodo di studio”. La musica e l’arte, aiuta da tanti punti di vista, anche solo con l’ascolto: quando sono in un mood e voglio sentirmi meglio, o peggio – perché spesso voglio sentirmi peggio, la trovo una cosa molto catartica. Con i miei problemi, per esempio, non puoi scrivere uno spartito: non fa niente, apri Logic, suoni e lo spartito viene fuori da solo. Ma anche per quanto riguarda la quarantena, mi è stato chiesto: “Che cosa consiglieresti di fare ad altri artisti o ad altre persone durante la quarantena?” Guardatevi un sacco di film, informatevi tantissimo, leggetevi le biografie degli artisti, andate su Pinterest… Tenete la creatività sempre stimolata, guardando, studiando cose nuove, perché senza uscire è l’unico modo.