Dicono che per fare una prova ci vogliono tre indizi, ma per stavolta ne basta anche uno: per fare bella figura nel panorama emergente italiano non devi per forza essere trendy, carino, ed esteticamente indie, ma pensate un po’, basta semplicemente saper suonare e cantare bene. E nello specifico la prova ci viene data da un barbuto trio veneto, alias Il Magnetofono.
Molteplici atmosfere ci accompagnano durante l’ascolto di quest’opera prima, che più che un disco sembra un vero e proprio viaggio alla rovescia tra i meandri più “noir” della musica italiana degli ultimi cinquant’anni. Il suono è caldissimo ma al tempo stesso malinconico, il contrabbasso ed il piano sono il tappeto perfetto per la voce di Alan Bedin, a metà tra Manuel Agnelli e Paolo Conte (alternative jazz?). Un delizioso invito alla lentezza, quasi una placida rassegnazione e presa di coscienza di una bellezza, la nostra, che pian piano sta scivolando via (“Finezze”). Traspare e non poco una spiccata vena teatrale, testimoniata dal duetto con Pierpaolo Capovilla in “Non ho finito”, ma anche dalla surreale “La dichiarazione del mago”, con tanto di cameo di Freak Antoni, storico leader degli Skiantos.
Ma il lato migliore de Il Magnetofono è senza ombra di dubbio quello cantautoriale, che si rifà con grande classe ed eleganza alla vecchia e gloriosa scuola di casa nostra, rendendo giustamente onore a Luigi Tenco e compagnia bella. Il tutto senza però mancare di originalità e vitalità, grazie anche ad un arrangiamento minimalista ed impeccabile al tempo stesso, un livello davvero sopra la media il cui apice viene toccato con l’ultima traccia, “Mondo di uomini”, un meraviglioso e viscerale rifacimento di “It’s a man’s world” di James Brown.
Tra luci soffuse, fumo di sigaretta e rumore di pioggia, l’ulteriore merito de Il Magnetofono è quello di non far emergere del tutto chi sia il vero padre ispiratore di questo debutto. Se ogni disco porta con sé un’ipotetica carta d’identità, in questo caso la foto all’interno risulterebbe sfocata, ed i dati personali in continuo mutamento, regalandoci un clima inevitabilmente e squisitamente pirandelliano.
Umberto Andreacchio