Bentrovati a voi tutti affezionati lettori di ExitWell, in questo numero la rubrica Mixer propone un argomento che sta alla base delle conoscenze di ogni tecnico del suono, ma che sono sicuro susciterà interesse anche fra musicisti ed appassionati di hi-fi.
Come sempre facciamo delle premesse: registrare in stereo un suono significa catturare contemporaneamente con almeno due microfoni quel dato evento sonoro; uno verrà indirizzato al canale sinistro (L) del nostro impianto e l’altro al destro (R).
A tutti gli effetti quando si parla di “ascolto stereofonico” si parla di due canali monofonici che suonano contemporaneamente, la somma e la differenza di quello che avviene fra i due canali determina quello che il nostro cervello codifica come immagine stereofonica.
Fin qui ci siamo, ma che significa allora quando sentiamo parlare di mono in un contesto di ascolto stereo, fatto di due altoparlanti? Per semplificare possiamo considerare che quando l’energia sonora di uno strumento è distribuita al 50% fra i due canali la percezione dell’ascoltatore, posto al centro del triangolo equilatero i cui vertici sono le casse e la sua testa, sarà centrale, cioè mono, ossia pari ad L+R.
Ogni canale (inteso come modulo) mono di qualsiasi mixer, reale o software che sia, ha un pan-pot, cioè un POTenziometro PANoramico che serve per spostare un suono da un canale all’altro del panorama stereo, in posizione centrale, ore 12 per capirci, quel canale sarà indirizzato 50% L e 50% R, estremizzando la posizione del potenziometro si arriva ad avere 100% L o R; ecco quindi che usando due microfoni e indirizzandone uno a sinistra e l’altro a destra si ottiene una reale ricostruzione dell’immagine stereofonica che si è sviluppata in quel dato momento e in quel dato luogo.
Se sei un artista che sta iniziando la carriera nel mondo della musica, sicuramente stai cercando di farti conoscere e di costruire una base di fan. Ma è più facile a dirsi che a farsi! I musicisti emergenti spesso hanno poca esperienza a livello professionale e stanno ancora lavorando per costruire la loro reputazione e il…
Credo sia chiaro, ma sono sicuro che ancora ci sono interrogativi nelle teste di alcuni di voi, ad esempio: una chitarra si registra in stereo o in mono?
Dipende. Parliamo di microfoni posti vicino al cono, se l’ampli ha due coni (ad esempio le casse 4×12 si possono usare in stereo), pilotati da due finali, i quali ricevono segnali da un effetto stereo allora ha senso microfonare la chitarra usando una tecnica stereo ravvicinata sui coni, ma se l’ampli è un combo con un cono (o in qualsiasi caso la cassa, anche 4×12, venga pilotata da una testata mono, cioè il 99% dei casi..) non ha senso parlare di tecniche stereo ravvicinate. Discorso diverso per quello che accade al suono che si propaga nell’ambiente in cui è posto l’ampli, in questo caso, qualsiasi stanza crea delle riflessioni (che semplificando chiameremo riverbero) interne che possono essere interpretate come un’evoluzione stereofonica (ma anche monofonica o addirittura 5.1 surround) del suono in un dato ambiente; questa componente è la più interessante, quella che conferisce un colore indelebile alle nostre registrazioni e che il tecnico del suono deve saper sfruttare usando di volta in volta la tecnica più appropriata.
Veniamo ora ai dati tecnici ed analizziamo le principali tecniche stereofoniche confrontandone pregi e difetti.Prima di tutto è necessario dividere le tecniche stereo in tre famiglie distinte: tecniche a capsule coincidenti, tecniche a capsule semi-coincidenti, tecniche a capsule distanziate.
Le tecniche coincidenti prevedono che i due microfoni abbiano le capsule poste attaccate l’una all’altra; queste tecniche danno un’apertura stereofonica ridotta, ma sono assolutamente monocompatibili (problema più del passato che del presente) e di solito molto facili da montare.
Le tecniche semi-coincidenti prevedono una distanza che va dai 17 ai 30 centimetri fra le capsule, sono tecniche che danno un’immagine stereo definita e più ampia rispetto alle coincidenti, conferendo al suono una percezione molto naturale, ma sono decisamente le tecniche più difficili da attuare a livello di posizionamento microfonico.
Le tecniche a microfoni distanziati prevedono distanze comprese fra i 90 cm e i 3 mt fra le capsule; si può facilmente intuire che l’immagine stereofonica è molto ampia, talmente tanto che a volte si aggiunge un terzo microfono centrale per ovviare alla sensazione di buco centrale.
Come sempre non esiste una tecnica perfetta, né migliore dell’altra, ma solo una più indicata rispetto ad altre in base a quella specifica situazione, ecco perché è bene conoscerne diverse.
Iniziamo a descrivere le tecniche coincidenti, che chiameremo tecniche XY.
Come già detto in precedenza è la tecnica più facile da posizionare, si ottiene usando due microfoni cardioidi le cui capsule devono essere poste l’una sull’altra, lasciando qualche millimetro fra le due; è sufficiente dare un angolo compreso fra 90° e 135° per ottenere una buona tecnica stereo (consiglio di calcolare l’angolo di apertura in base all’estensione del panorama stereo da riprendere, se più o meno largo).
Un’altra tecnica XY viene chiamata stereosonic (o anche Blumlein pair) e si ottiene usando due microfoni bidirezionali (anche detti figura ad 8) con i lati positivi delle capsule poste a 90° fra loro; il risultato è incredibilmente coinvolgente dal punto di vista della percezione dello spazio, pur non raggiungendo i livelli che si ottengono con tecniche binaurali.
Per quanto riguarda le tecniche semi-coincidenti propongo ai lettori l’analisi di tre versioni, ognuna delle quali con un potenziale incredibile.
La prima si chiama “O.R.T.F.” (Office de Radiodiffusion Television Francaise), è una tecnica che mutua la conformazione del cranio umano per ricreare una percezione spaziale naturale e ben definita. Le capsule vengono poste a 17,5 cm l’una dall’altra con un’angolazione di 110°. Le orecchie sono mediamente alla distanza di 17,5 cm l’una dall’altra e sono rivolte leggermente verso avanti.
La seconda semi-coincidente si chiama “N.O.S.” (Nederlandse Omroep Stichting), in questo caso è previsto che le capsule dei microfoni siano poste a 30 cm con un’apertura di 90°. A differenza della ORTF, che a mio avviso è fra le più difficili tecniche da realizzare, la sistemazione risulta più facile grazie ad un angolo semplice da calcolare: i 90° possono essere controllati anche mediante l’uso di un normale foglio di carta A4, mentre per i 110° è necessario l’uso di un goniometro o di qualche altro strumento personalizzato in quanto non è un’apertura facilmente attuabile ad occhio.
Propongo ai lettori l’analisi di un’ultima tecnica semi-coincidente chiamata “Jecklin disk”. Precisamente questa è una tecnica binaurale (i cui effetti sonici si possono apprezzare solo in cuffia o in ambienti di ascolto binaurale) che si ottiene usando due microfoni omnidirezionali posti a 17,5 cm fra loro e separati da un buffer, cioè un disco (imbottito) di circa 30cm di diametro che divide fisicamente i due microfoni. Questa tecnica è insuperabile in quanto a realismo tridimensionale, poiché si avvale del buffer che altro non è che la simulazione del nostro cranio che separa i nostri due microfoni omnidirezionali, le orecchie.
Chiudiamo con le tecniche distanziate, anche dette AB, che si possono attuare sia con microfoni cardioidi che omnidirezionali. I posizionamenti più comuni sono due: a 90 cm l’uno dall’altro e a 3 mt. Sono tecniche che in genere hanno meno definizione delle coincidenti e semi-coincidenti, ma danno una sensazione di “riverbero” naturale e di amalgama notevole; sono spesso utilizzate nella musica classica o per dare spessore, più che ampiezza stereo definita, a qualsiasi suono. Nel caso in cui sia necessario aggiungere un terzo microfono centrale per dare più definizione al centro del nostro panorama stereo, tale tecnica viene chiamata “Decca tree”, nome coniato nei primi anni ‘50 dai tecnici della nota etichetta discografica Decca.
Buona stereofonia a tutti!
Danilo Silvestri
Salve Danilo sono Giancarlo, io ho provato a registrare un coro usando i tre sistemi XY – Ortf – e Nos e debbo dire che con Ortf ho ottenuto un ottimo risultato. Ho costruito un supporto angolato a 110° su cui monto i miei due Ksm32 Shure.
Perchè dici che il sistema Ortf è difficile da gestire??
E’ solo per il calcolo delle distanze o c’è qualc’osa che ho tralasciato??
Un grazie anticipato e un cordiale saluto
Giancarlo
Ciao Giancarlo, la tecnica ORTF è decisamente quella che da i risultati migliori in termini di ampiezza del panorama, definizione e mono compatibilità. Nel caso di una registrazione corale non mi stupisce che tu abbia preferito la ORTF, questa tecnica presenta “solo” il problema del posizionamento e della ricerca corretta dell’angolazione dei mic, questo è il motivo per cui l’ho definita “difficile da gestire”.
Sbagliare una XY è praticamente impossibile, anche ad occhio… (considera che ci sono manuali che riportano liberi i gradi di apertura da 90 a 180), la NOS crea un piccolo “buco” centrale, la ORTF è in assoluto la più equilibrata.
Un saluto,
Danilo.
Ciao Danilo come va? io ho incontrato il primo problema con i miei cori e ti vorrei chiedere un parere
Ho dovuto, in quanto loro sono voluti andare in quella chiesetta, fare una registrazione in una chiesina di montagna senza arredamento o quadri, alta e stretta e piena di reverbero. Questo sarebbe anche accettabile ma mi risulta in registrazione, ripetuta due volte, una enfatizzazione di frequenze medio/alte che sembrerebbero una saturazione o di canale o di microfono che ai fatti non c’è. Aggiungo il coro è super amatoriale e canta urlando. Cosa posso fare per tentare di riparare i danni? posso mettere alcuni pannelli assorbenti?? la posizione dei due microfoni l’ho già cambiata più volte mi manca solo di provare la cuffia antivento sui microfoni stessi.
Per ora un caro ringraziamento e un carissimo saluto.
Ciao
Giancarlo